Paolo si svegliò dopo diversi squilli. Ciò che subito lo
colpì era la secchezza indecente della sua gola. Ogni respiro grattava nella
trachea e lo costringeva ad aumentare la salivazione per placare il bruciore.
Con gli occhi ancora chiusi cercò la bottiglia d’acqua ai bordi del letto. La
trovò subito, ma era vuota. Chissà da quanto, pensò tristemente. Decise quindi
di alzarsi e di andare a prendere telefono ed acqua in modo da sedare sia il
dolore in gola sia le tempie pulsanti, che, immediatamente, lo avevano
aggredito ai primi movimenti dopo il risveglio. Ora che era in piedi in mutande
fuori dalle coperte, si accorse che non era di certo una giornata di sole. Pur
essendo maggio, da settimane pioveva ininterrottamente e la calda primavera
ancora non si vedeva, fatta eccezione per il giorno precedente, che dal
pomeriggio sembrava essersi riappropriato della sua consueta temperatura.
Raccolse una maglietta a casaccio dal mare di vestiti sparsi per casa. Sembrava
che un trolley pieno di ricambi fosse esploso nel centro della stanza,
lasciando pezzi di se stesso e di ciò che conteneva ovunque. Raggiunse il
telefono e rispose. Era Dario. Ovviamente.
“Pronto” e subito sentì la pestilenza del suo alito.
“Eccolo!Finalmente Principe Carlo!” la voce di Dario,
squillante e sarcastica, lo trafisse mentre era ancora immerso nel suo lento e
doloroso risveglio “Ce ne hai messo di tempo!Stavi dormendo?”
“No, dipingevo il soffitto della camera” rispose senza
troppa allegria “Certo che stavo dormendo e avrei preferito continuare a
farlo…”
“Ma che cazzo..sono le due e vuoi continuare a dormire?!”
Le due?!..pensò e guardò l’orologio a forma di bottiglia
dell’Heineken. Segnava le due e dieci. Acqua, si disse, prima mi ripiglio
meglio è!E cercò con lo sguardo qualche bottiglia d’acqua sul pianale della
cucina. Un’intera città fatta da grattacieli di cartoni della pizza o da
scatolette di tonno lo guardava accusatorio. Ottima alimentazione, otto ore di
sonno, attività fisica e sveglia alle prime luci dell’alba!Una vita devota alla
salute!..pensò dirigendosi verso il frigorifero in cerca di qualsiasi liquido
non alcolico che poteva ospitare.
“Beh, diciamo che non è stato un buon risveglio” confessò
all’amico “Tu che stai facendo?..hai pranzato?” aprì l’anta del frigo e lo
investì quell’ottimo profumo di cibo in decomposizione. Sicuramente qualche
scadenza ignorata stava restituendo il conto di tale dimenticanza. Prese
velocemente la brocca dell’acqua mezza vuota e tracannò senza fiato il
rimanente, sbattendo con la mano libera lo sportello di quel contenitore di
odori di natura morta.
“Lo immagino il tuo risveglio!!Forse ieri sera abbiamo
bevuto un po’ troppo!Beh, però diciamo che tu ti sei divertito, o almeno lo
spero…” Dario lasciò in sospeso quella frase, anche se Paolo non lo poteva vedere,
sapeva che stava sogghignando, “comunque ho già pranzato, tranquillo..ti do una
mezz’ora e poi passo a trovarti, vedi di non addormentarti di nuovo!”
“Ok, ma cosa intend..” ma non finì la frase in tempo prima
che l’amico riattaccò. Voleva chiedergli a cosa si riferisse con quel “ti sei
divertito”. Pensò che lo avrebbe fatto di lì a poco, quando sarebbe arrivato a
casa sua a vegetare come ogni giorno. Ora doveva riprendersi. Decise
d’infilarsi in doccia e starci finché Dario non avesse suonato al suo
campanello. Andò in bagno ed anche lì trovò una situazione non certo felice di
ordine o pulizia. Il lavandino era cosparso di capelli, i pochi cadaveri
derivanti dalle recenti docce, residui dell’ultima volta che si era rasato (e
guardandosi allo specchio capì che era passata più di una settimana) e c’erano
anche i resti del dentifricio in piccole gocce depositatesi un po’ ovunque
sulla superficie del lavabo. Il water non era ai livelli di quelli che si
possono trovare in un autogrill, ma poco ci mancava. Fortunatamente non c’erano
segni di eventuali sconfitte contro il suo stomaco dopo la serata alcolica. Non
si ricordava ancora se avesse vomitato, ma almeno non sembrava fosse successo
nel suo bagno. Anche la questione ricordi sera prima era da definirsi dopo la
doccia! Accese l’acqua calda e si rallegrò nel vedere che la caldaia non
l’aveva ancora abbandonato. Erano un paio di mesi ormai che non riusciva a
farsi più di due docce calde consecutive. Aveva rimandato di giorno con giorno
d’avvisare il padrone di casa sul problema, ma d’altra parte nel giro di un
paio di settimane l’afa avrebbe invaso la giornata e l’acqua calda non sarebbe
più stata un problema. Dopo aver armeggiato con le due manopole per evitare
d’ustionarsi o, al contrario, di raffreddare troppo il getto, si godette il
flusso d’acqua che lo avrebbe rigenerato sicuramente. Mentre lentamente
riprendeva possesso delle sue facoltà mentali, cercò di ricostruire la serata
precedente. Prese lo shampoo e cominciò a massaggiarsi la testa.
Lui, Dario e Gianluca si erano visti per una pizza a casa di
Paolo, guardando la partita per poi decidere dove andare. Ovviamente essendo
tutti e tre squattrinati e nullatenenti, le scelte erano poche e dovevano
soddisfare le due minime esigenze: alcool a poco prezzo e presenza femminile.
Dopo diverse discussioni e dopo essersi spronati a vicenda per non starsene
ancora in casa tutta la sera davanti ad una console, bevendo moretti fino alla
nausea (cosa che recentemente gli arrivava molto presto) e devastandosi con una
sequenza terribile di canne, decisero di andare in un locale appena fuori Milano,
vicino all’Idroscalo, dove un loro conoscente festeggiava la laurea. Nessuno di
loro era troppo entusiasta di andare a quella festa. “No dai!Non possiamo!Sai
benissimo come si pavoneggerà Fulmine e come sono simpatici i suoi amici
fighetti di Milano!” si lamentò Gianluca. Fulmine, in arte Giampiero De Poli,
aka “hai sentito l’ultima”, era un maestro della cazzata. Un vero e proprio
artista della stronzata. Riusciva a creare storie assurde per mascherare delle
semplici sfortune comuni a tutti gli uomini di buona volontà o per vantarsi di
un qualsiasi evento che lo ritraesse come un genio risolutore di tutti i
problemi della compagnia. Un bastardino giocoso che lo inseguiva durante una
delle rare uscite di jogging, diventava un rottweiler rabbioso o un lupo della
steppa; un ritardo per semplice traffico o per una sveglia sentita in ritardo
si trasformava nella sequenza di sfortune e coincidenze talmente incredibili
che nemmeno Gene Wilder concepiva nei suoi film. Viveva anche lui nel minuscolo
paesino disperso nella Brianza in cui ora Paolo si stava svegliando, ma la sua
giornata era di solito divisa fra l’Università Bocconi e un piccolo bar
universitario nei pressi della Pinacoteca di Brera. Ciò lo rendeva ancora più
devoto alla vita mondana della città e sempre meno alle realtà del paesino.
Vedeva i suoi amici “di campagna” a periodi, cioè quando non aveva voglia
d’incontrare conoscenti dell’università che si laureavano prima di lui o che
passavano esami che Fulmine ripeteva in continuazione senza mai ottenere un
misero diciotto. In quei periodi diventava l’amicone di tutti. Presente a tutte
le partitelle di calcetto, ovviamente non come giocatore per improbabili danni
fisici legati ad imprese sportive descritte nel guinness dei primati, o ai
pomeriggi sfatti al parchetto, in cui si dileggiava nell’antica arte
dell’orazione della minchiata. Poi, passato il momento di “pericolo”, spariva
per un po’, dedicandosi agli happy hour e alla sala lettura dell’università.
Già perché per lui l’aula studio era inutile, pensò malignamente Paolo mentre
cercava di togliersi lo shampoo finitogli nell’occhio. D’altra parte, il buon
caro Fulmine, era pieno di soldi e una festa per una laurea che aspettava da
almeno dieci anni, poteva voler dire alcool gratis. E ciò avrebbe soddisfatto
la questione numero uno. Per le ragazze, il Magnolia era un locale perfetto,
c’era l’imbarazzo della scelta e per l’entrata c’era ancora valida la tessera
ARCI dello scorso inverno. “Tutto apposto!” sentenziò Dario “Adesso ci godiamo
la partita, poi ci facciamo belli e ci scoliamo una bottiglia di grappa, canna
durante il viaggio ed arriviamo perfettamente stonati alla sua festa!Da
lì..qualsiasi cosa mi dica va bene, basta che mi offra qualche coca e Havana e
lo ascolto anche per tutta la notte!” e con un sorriso simile allo stragatto di
Alice, alzò la bottiglia di moretti per un brindisi. Gli altri due, suoi umili
commilitoni, lo imitarono.
Sentì nuovamente suonare il telefono, ma era lontano diversi
anni. Ora sì stava rilassando in doccia e niente lo avrebbe distolto da lì.
D’altra parte la sua giornata dipendeva molto dall’esito di quel rigenerante
passaggio. Prese il bagnoschiuma, imprecando sentendolo molto leggero. Come
aveva previsto era in sostanza vuoto, ma fortunatamente c’erano diversi
contenitori simili sparsi nelle mensole della doccia, tutti “quasi” completati.
Collage di saponi!Ed iniziò a racimolarne da ogni contenitore. Un insieme di
profumi diversi invase il bagno regalandogli nuovo piacere e un lieve
benessere. E aiutandolo a ricordare altri particolari.
Come sempre
al Magnolia, la coda per entrare era seconda solo a quella per parcheggiare. 5
euro un parcheggio incustodito e, comunque, ormai talmente pieno che avevano
parcheggiato a quasi un kilometro dall’entrata del locale. “Che merda sto posto
e il suo cazzo di parcheggio!” brontolò Gianluca “A questo punto meglio
lasciarla in strada prima della rotonda…” Dario, con una bottiglia quasi finita
di grappa in mano, stava guardando Gianluca con un’espressione che indicava
incredulità, solo che lo sguardo, già modificato dall’alcool e dalla canna di Maria
(strapiena) che si erano fumati arrivando lì, era comico e disse “Certo mio
caro ministro di sto cazzo!Lasciando lì la nostra punto ultradeluxe con gli
amici in divisa avremmo fatto l’affare dell’anno!Salvo che il tuo potere
politico non arrivi a tanto!” e guardò Paolo in cerca di una spalla con cui
sfottere l’amico. Quell’anno Gianluca Poletti, si era candidato come
consigliere comunale in una lista civica (o meglio, civicamente di sinistra).
La cosa lo aveva stimolato molto per tutto il periodo pre-elettorale, la
cosiddetta campagna, stressandoli con comizi privati a casa di Paolo, infarciti
da sproloqui dettati dalle ore piccole e dalle bottiglie vuote che si
accumulavano sul tavolo. Alla fine la sua lista vinse ma lui non ebbe
abbastanza voti per essere tra i consiglieri eletti. Forse fu meglio così, giacché
Gianluca era famoso fra gli amici per intraprendere ogni nuova esperienza con
l’entusiasmo di un ragazzino davanti alla fabbrica di Willie Wonka, per poi
compiere una brusca frenata e disinteressarsene. Infatti, i suoi settimanali
incontri in comune finirono molto presto, sostituiti da qualche ragazza o da
una nuova mania. Ovviamente tutto ciò non gli evitò mesi di nomignoli da parte
di Dario o continue battute sul suo improbabile peso politico.
“Chi altro
c’è tra gli invitati che conosciamo?” sviò Gianluca.
“Non ne ho
la più pallida idea…a me l’ha detto Anna..erano inviti tramite facebook o
qualche altro social network che non si fa gli affari suoi..comunque lei non
sarebbe venuta..perciò non so proprio chi ci sia” rispose Paolo.
“Ragazzi, mal
che vada ci allontaniamo dalla gentaglia e ci buttiamo a ballare sotto un altro
palco..è grande il posto!” rassicurò tutti Dario “Ma non senza qualche litro di
birra o altro in corpo..gentilmente offerto dalla ditta Fulmine e Affini!” e
così dicendo bevve un sorso di grappa e porse la bottiglia agli amici.
Come
previsto l’entrata era affollatissima, ma scorreva velocemente. Dopo una decina
di metri la fila umana era divisa in due da una transenna, a destra chi era
sprovvisto di tessera annuale si fermava per l’iscrizione e il pagamento,
mentre sulla sinistra chi non ne aveva bisogno, passava mostrando al servizio
d’ordine la tessera valida. Passati i cancelli d’entrata un parco attraversato
da una strada sterrata, accoglieva i clienti.
La prima
volta che si entra al Magnolia, sembra di aver sbagliato posto, poiché non si
vede nessun locale ma solo degli alberi enormi che nascondono quello che poi si
trova nello spazio posteriore al parco d’entrata. Percorrendo la via ghiaiosa
ci s’imbatteva spesso in un camper giallo con dei fiori dipinti, ereditati
dall’arte tossica degli anni 70, addetto all’assistenza per quelle persone che
incappavano in una serata volutamente troppo esagerata, abusando di alcool o di
qualche chimicata tagliata male. I due ragazzi che lo occupano, volontari,
fanno parte del locale tanto quanto gli alberi stessi. Sulla sinistra si trova
la zona relax adibita a delle amache sorrette da strutture di metallo. Luogo
molto conosciuto da Paolo e i suoi due amici, solito ad ospitare le loro
carcasse d’uomo quando le serate prendevano una brutta piega, o meglio quando
il mondo che vedevano iniziava a piegarsi, contorcersi. Avvicinandosi allo
stabile dietro agli alberi si trovano un paio di bar esterni, uno adibito ai cocktail
l’altro alla birra. Ci si ritrova, poi, proprio davanti, il locale vero e
proprio, con un altro bar completo di tutto, i bagni e un’ampia stanza che
d’inverno è adibita a sala concerti, mentre ora, nel periodo più caldo,ai bordi
dell’estate, fa da anticamera ideale per accedere al resto del complesso,
composto dal palco più grande, una serie di tendoni utilizzati come
pizzeria/trattoria e qualche bancarella che vende prodotti legati al gruppo
serale o al Magnolia stesso, oppure spazi offerti ad associazioni umanitarie o
ambientali.
Dopo una
veloce tappa al bagno, per creare nuovo spazio ad altro alcool, i tre amici si
dedicarono alla ricerca di qualche viso conosciuto e che li potesse guidare
verso il grosso del gruppo festante. Mentre attraversavano il salone vicino ai bagni,
qualcuno strattonò la manica di Dario, che si girò di scatto come se fosse
stato colpito al fianco da una freccia nella giungla.
“Daaaaariooooo!Alla
fine sei venuto anche tu!!” strillò una specie di koala colorato aggrappato al
braccio destro di Dario.
“Ciao
Chiara..sì diciamo che siamo quasi qui per caso…” e l’espressione del suo viso
era un mix tra il rassegnato e l’odio. Lo strano essere, non era per nulla un
koala, era Chiara, la spina nel fianco, il tallone di Achille o, come lo
definiva lui stesso, il gatto attaccato ai maroni di Dario. Lei, all’anagrafe
Chiara Bergonzoni, era la figlia del Geometra Piergiovanni Bergonzoni,
detentore di quasi tutti gli appalti edilizi nel raggio di diversi kilometri
dal loro piccolo paese. Negli anni 80 si era fatto un certo nome come
progettista di nuovi appartamenti fino ad investire direttamente nella
costruzione, aprendo un’impresa edilizia propria. Dove avesse trovato tanto
denaro in poco tempo, era uno dei misteri di cui un paesello come il loro si
portava da anni nelle chiacchiere da bar o in quei giorni in cui il bel tempo
gli permetteva di sfrecciare nelle viuzze del quartiere con la sua SLK cabrio,
alimentando gli sguardi invidiosi e pettegoli dei suoi concittadini. In verità
nessuno sapeva, nemmeno Paolo e i suoi amici, che il buon Piergiovanni aveva
ricevuto un’ingente eredità da uno zio cui era molto affezionato in giovane
età, che gli permise, negli anni d’oro del boom italiano, di chiedere
finanziamenti per l’apertura della ChiaMarc Edili. In seguito la richiesta di
nuovi palazzi per tutti coloro che da Milano scappavano verso la campagna, gli
permise di cavalcare l’onda economica con grande intuito. Tuttavia godeva nel
vedere tutti quegli occhi e quelle chiacchiere puntate su di lui, mentre si
lasciava accarezzare dal vento fresco nelle giornate di sole, guidando la sua
auto tedesca. Chiara, d’altra parte, dal padre non aveva ereditato troppo
cervello e l’agiatezza economica l’aveva resa una persona finta e superficiale,
attenta solo ai nomi cuciti sui propri vestiti, alle starlette hollywoodiane e
a come essere sempre alla moda anche durante le serate in cui si trovavano in
riva ad un fiume con un falò e una chitarra. Ma come spesso accade, la vita e
il destino amano sconvolgere le esistenze a noi mortali, la principessina si
era presa una cotta infinita per il rinnegato Dario. Solo che a differenza dei
film patinati di rosa che la nostra Chiara adorava, il soggetto in questione non
era per nulla propenso a nessun miracoloso cambio di vita o di modo d’essere,
tipo il finale di Grease. Solo una sera ha ceduto alle avance, ubriaco, durante
una festa di compleanno a casa di comuni amici, scopandosela in camera dei
genitori del padrone di casa e per poi dimenticarselo quasi completamente il
giorno dopo, quando lei, di tutto punto, si era presentata davanti alla sua
porta con una borsa contenente spazzolino e ricambio. Il fatto che lui stesse
smaltendo un dopo sbronza con i fiocchi, non lo giustifica completamente dagli
insulti che la povera ragazza ricevette prima di sbatterle la porta in faccia.
Ma lei non si demoralizzò comunque. Da allora, quando s’incontrano, il
siparietto si ripete ed è veramente strano perché Chiara non è solo una ragazza
alla moda, è una bella ragazza, una di quelle che Paolo, Dario e Gianluca
definirebbero “una figa di legno”. La sua sfortuna è stata di vedere un
principe azzurro nascosto dietro le fattezze di uno scaricatore di porto turco
ubriaco e stanco dopo l’ennesima traversata da un mare all’altro.
“Beh
teeeesoro mio..come sei arrivato qui non m’importa!” cinguettò Chiara
“Mollami
Chiara!Lasciami stare questa sera..voglio solo bere e non averti tra le palle!”
le rispose, suo malgrado, Dario.
“Chiara dove
sono Fulmine e gli altri?” intervenne Paolo per avere l’unica informazione che
voleva.
“Seguitemi”
e prese Dario per un polso facendosi inghiottire dalla massa di gente che si
stava spostando verso il palco più grande. Era orario di concerto e gli Africa
Unite attiravano sempre un bel po’ di persone. Si fecero strada fino ai tavoli
occupati dagli invitati del festeggiato cercando di rimanere in disparte e, nel
contempo, avvicinarsi ai vassoi pieni di bicchieri di birra. Ma Fulmine li
vide.
“Ma guarda
un po’ chi si è spinto dalla provincia!” urlò come se loro si trovassero ancora
al parcheggio anziché lì a pochi metri “Non pensavo di vedervi questa
sera…v’immaginavo sdraiati sul tuo divano, Paolo, a farvi di xbox!” e sfoderò
uno dei suoi sorrisi da venditore migliori che aveva.
Dario vide
la sua mano afferrare una delle sedie di legno e spaccarla sul lato sinistro
della faccia di Fulmine. Vide la mandibola spostarsi innaturalmente dalla parte
opposta, scaricando come una marmitta ingolfata bava e denti, sangue e pelle.
Lo vide cadere a terra e si sentì urlagli contro “Cazzone Bastardo che fino a
due giorni fa eri anche tu in PROVINCIA su quel CAZZO DI DIVANO!” . Dario vide
tutto ciò, ma solo nella sua mente, per fortuna, e si chiuse la bocca con una
birra gelata.
“Beh
Fulmine, sai come siamo fatti!Piuttosto!Congratulazioni per la laurea…finalmente!”
cercò di sviarlo Paolo
“Certo che
so come siete fatti..anzi strafatti!!” e condì il tutto con una risata finta ed
impostata “Grazie comunque, sono contento che siate venuti…ora se volete
scusarmi, ho delle ragazze da importunare” e strizzò loro l’occhio girandosi
verso un gruppo di suoi amici, sponsorizzati Prada e D&G, ma prima di
lasciarli aggiunse “Guardate bene sul tavolo ci sono dei bottoni, offro io questa sera!Sono un paio a testa!”
Dario, con
gli occhi accesi da una nuova linfa, disse “E noi berremo alla tua, fratello!”
Così dicendo
ritornò al tavolo con le birre e vide una ciotola con un sacco di piccole
fishes di plastica di colori diversi, con sovraimpresso il logo del Magnolia.
Erano i “gettoni” da consegnare al bancone per le consumazioni. Prima ancora
che qualcuno potesse accorgersene ne prese tanti da dimezzare il contenuto
della ciotola e suggerì agli amici “Su ragazzi, prendete le vostre
consumazioni!” e il sorriso da joker tradì la realtà della battuta.
Paolo e
Gianluca si guardarono complici ed imitarono l’amico.
Ora il senso
di post sbornia aveva un significato, un’origine. Con quel carico di free drink
si erano sicuramente devastati per le ore successive ed il fatto che lui non
ricordasse molto non era così strano. Solitamente l’alcool aveva questo effetto
quando se ne abusava. E Paolo lo conosceva bene. Spense l’acqua e prese
l’accappatoio. Finalmente si sentiva meglio, più sveglio e pronto a
“Ehiii, hai
finito?Posso usare io la doccia?..potevamo anche lavarci insieme!”
Si
bloccò…spalancò gli occhi per lo stupore, si concentrò su ogni suono per capire
se era diventato pazzo..se sentiva voci femminili nella sua testa…o se fosse la
televisione…anche se la coincidenza legata alla doccia lo fece subito desistere
da questo pensiero.
“Sei
svenuto?!Sto parlando con te Paolo!Ovviamente scherzavo!” e rise.
Veniva dalla
camera. Non dalla sua testa. Era già qualcosa.
Come il
primo esploratore della tomba di Tutankhamon, Paolo si avviò in accappatoio,
ancora gocciolante, verso la stanza da letto, quasi vivendo un momento
distaccato tra mente e corpo.
Si poteva
vedere mentre, incerto, passo dopo passo, usciva dal bagno per affacciarsi alla
porta dell’altra camera, quella con il fantasma. Altro non poteva essere.
La prima
cosa che pensò è che non si trattava di un fantasma. Ed anche se lo fosse
stato, beh, diamine, era proprio un gran bel fantasma.
“Buongiorno”
riuscì a dire senza balbettare.
L’ectoplasma
era nel suo letto (avrebbe poi dovuto ricostruire i suoi passi al risveglio per
capire come fosse stato possibile non vederla), arrotolata fino al collo nel
lenzuolo, con le spalle deliziosamente scoperte e candidamente nude. Gli occhi,
benché tradissero una serata da ore piccole, erano di un verde intenso (troppo
intenso per un essere incorporeo) e lo guardavano senza malizia. Una folta
chioma nera si distribuiva in boccoli liberi sul cuscino. Gli sorrideva,
mostrando una dentatura bianca e perfetta. Facendo ciò, inclinò leggermente la
testa e subito un flash d’immagini invase la mente di Paolo. Lei che gli
sorride nello stesso modo con un bicchiere di birra in mano ringraziandolo e
presentandosi. Loro che ballano insieme e sempre più vicini. Immagini confuse
di baci scambiati sdraiati nel prato del parco del Magnolia. Poi nulla d’altro.
Ci doveva lavorare.
“Buongiorno
a te!Come dicevo..posso farmi una doccia anch’io?”
“Ce-Certo,
ti prendo un paio di asciugamani..e te li lascio in bagno” cercò di non
tradirsi, ma pensava che la sua espressione mentre la guardava fosse
impossibile da mascherare.
“Mmmh…graaaziee..adesso
mi alzo..” quasi sussurrò lei, stiracchiandosi ancora assonnata, nel letto.
Paolo si
diresse verso l’armadio che conteneva gli asciugamani di riserva. Era un
automa. Si muoveva involontariamente mentre cercava almeno di ricordare il nome
della sua ospite.
Il fantasma
che non era un fantasma lo abbracciò da dietro mentre era immerso nei suoi
pensieri. Si dovette concentrare al massimo per evitare di urlare.
“Avresti
anche una maglietta da prestarmi?..quella che indossavo ieri sera non penso sia
utilizzabile..anche perché non so dov’è!” sentiva le sue labbra vicino
all’orecchio e i suoi seni, avvolti nel lenzuolo, gli si appoggiavano sulla
schiena. I capelli, lunghi, le ricadevano sulle spalle e, data la vicinanza, lo
sfioravano sul collo.
“Apri pure
l’armadio e scegline una e se ti serve altro non farti problemi” troppo formale
pensò, cercando di sciogliersi un po’.
Lei gli
schioccò un bacio sulla guancia e si diresse in bagno con gli asciugamani che
lui teneva in mano.
Caffè!Si
ordinò.
Scese al
piano di sotto e cercò la moka. Mentre puliva i residui di caffè vecchio all’interno
per sostituirlo con quello nuovo, si concentrò per dare seguito ai ricordi
della serata precedente. Era sicuro,
ora, di averla conosciuta mentre prendeva l’ennesima birra al bancone. Aprì il
barattolo di metallo della Illy e sorrise vedendo che era pieno per metà.
Solitamente in questi momenti la fortuna non lo aiutava. Quello era un segno,
si disse, ora riuscirai a mettere tutto a fuoco e
Suonò il campanello
ed ora, perso nei suoi pensieri di rinascita mentale, Paolo non riuscì a
trattenere l’urlo che prima aveva evitato. In verità si trattò di un suono
simile a quello che fa un bambino quando si spaventa per un BU di un adulto. Ma
la somma delle emozioni degli ultimi minuti era oltre il limite che potesse
sopportare dopo un risveglio.. difficile. Riprese fiato pensando che
fortunatamente Cristina stava facendo la doccia e
..si colpì
la fronte con la mano sinistra..rovesciando un po’ di caffè rimasto nel
cucchiaino che aveva tra le dita..
Cristina! Ma
certo ecco come si chiamava! Dentro di sé esultò come uno scolaretto quando
risponde alla domanda della maestra che nessuno, in classe, conosceva. Si
diresse verso il citofono con un sorriso di vittoria e compiacimento, che
crollò come uno di quei palazzi che sono demoliti e mandati in diretta tv,
quando vide nella telecamera in bianco e nero il faccione, deformato dalla
lente, di Dario. Prese la cornetta tra le mani.
“Sali”
“Buongiorno
anche a te!”
Ruotò la
serratura per aprirla e tornò in cucina dove la sua caffettiera attendeva che
lui finisse di caricarla. La richiuse e la poggiò sul fornello, avviando il
gas. Prese poi un sacco di plastica per la raccolta differenziata e cominciò ad
accumulare i cartoni di pizza che c’erano sul ripiano davanti a lui. Entrò in
quel momento Dario.
“Ciao Paolo”
“Hola”
“Ripreso dal
coma?Ma quanto cazzo abbiamo bevuto?!Mi uscivano free drink da tutte le tasche,
devo averne ancora a casa nei
pantaloni…chissà se Fulmine si è accorto di quanti ne abbiamo presi da quella
ciotola!Ahahah!E tu?!?ma dove sei finito?Sei sparito e fortunatamente abbiamo
trovato un passaggio..”
Paolo lo
interruppe portandosi l’indice sulle labbra in segno di silenzio e sgranando
gli occhi indicando il piano superiore di casa sua.
Dario,
dapprima lo guardò con la faccia da punto interrogativo, poi realizzando cosa
l’amico stesse insinuando, la trasformò con un sorriso compiaciuto e sornione.
“Ma
beeeeeneeee!” crogiolò “quindi non siamo stati soli tutta la seraaa!”
“Smettila, lascia
stare…faccio anche fatica a ricordare…”
“Ti capisco,
ma spero che almeno il nome tu lo sappia!”
“Per chi mi
hai preso animale!Certo che so come si chiama!Cristina!” cercando di non
lasciar trapelare nessun indizio del contrario.
“Per chi ti
ho preso?!Per un alcolizzato”
“Dario,
detto da te, alcolizzato diventa quasi un complimento!Comunque, non scherzo
quando dico che ho ricordi confusi. Ora sta facendo una doccia, evita commenti
idioti o esageratamente scurrili per un po’!”
“Zi Buana
biango…bovero Dario fa sempre cosa badrone dice!”
“See, fai
pure lo spiritoso!Vuoi del caffè?”
“Volentieri!”
“Figuriamoci,
piuttosto, Gianluca dov’è?”
“Non
saprei.Le ragazze a cui abbiamo scroccato il passaggio erano prese bene..io ero
ubriaco e lui pure..alla fine ha voluto scendere con una di loro a Cimiano,
dicendo che avrebbe preso la metro”
“La metro in
piena notte?!”
“Beh ti ho
detto che ero ubriaco”
“Già, me lo
hai detto”