lunedì, giugno 17, 2013

Quintetto Base (parte 4)

La serratura della palestra era più ostinata del previsto. Dario armeggiò con il suo coltellino svizzero. Era un regalo del natale precedente, lo aveva chiesto a sua madre con la scusa di poterlo usare per intagliare bastoni da portarsi in montagna. Ovviamente l’unico legno che aveva conosciuto la sua lama era stato quello di alcune porte della scuola, magazzini più che altro, e qualche sfortunato albero su cui incidere il proprio nome.

“Dai sbrigati prima che passi qualcuno” lo spronò Paolo.
“Non mettermi fretta!Altrimenti non ci riuscirò mai!”
“Continuo a pensare che sfondare il vetro dell’antipanico dietro sarebbe stato meglio” insistette Gianluca

Mentre i tre stavano chinati sulla porta, Marco era appena poco più lontano dagli amici per tenere d’occhio la strada. Si nascondeva dietro la piccola siepe del vialetto d’entrata della palestra. Erano sicuri che non ci fosse l’allarme. Avevano seguito le ultime gare di pallavolo femminile, sia per andare a guardare le ragazze in pantaloncini che per studiare il posto. Si consideravano esperti ormai. Non era certo il primo furto che portavano a termine. La scuola media del loro paese era stata presa d’assalto già diverse volte. Più che altro per  atti vandalici, registri spariti, muri imbrattati. Avevano portato via un po’ di cancelleria varia, dai pastelli costosissimi del loro insegnante di artistica, alla chitarra dell’aula di musica per Gianluca. Ma in palestra avrebbero trovato anche del denaro, ne erano sicuri. Era il mese delle iscrizioni e il custode era solito racimolare tutte le quote prima di depositarle. Lo conosceva bene Marco, abitava vicino a sua zia e aveva studiato anche i suoi orari. Ora stava sicuramente a casa a guardarsi la partita dei playoff di serie A.

“Veloci, ci state mettendo troppo tempo”, bisbigliò ai suoi complici cercando di non urlare.

Non sapeva com’era iniziata quella serie di bravate, ma era conscio del fatto che gli piaceva l’adrenalina e la presenza dei suoi tre soci in tutto ciò. Erano una squadra e poi potevano divertirsi ai danni di un luogo che li aveva tenuti prigionieri per anni. Certo, ora erano alle superiori, ma, pensò Marco, ogni cosa a suo tempo. Prima dovevano ambientarsi e capire come muoversi in quel nuovo mondo. Essere primini non era il massimo per farsi notare.

Un suono simile a quello che si può sentire quando si spezza un ramo di un albero sotto il troppo peso della neve, interruppe i pensieri di Marco e il silenzio attorno a loro.

“Evvai!” esultò Dario.

La serratura aveva alla fine ceduto. Corsero dentro il lungo corridoio che conoscevano a memoria. Arrivati all’interno della palestra, la luna, piena e limpida nel cielo notturno, illuminava l’interno a giorno. Si fermarono in silenzio restando ad ammirare quel luogo. Senza rendersene conto, tutti e quattro stavano pensando di avere la palestra a loro completa disposizione. Quel luogo, d’altra parte, era stato per diverso tempo l’unico che riuscivano a frequentare senza sentirsi angosciati. Marco s’incamminò verso la porta del magazzino principale, dove erano stipati i palloni,le palle mediche,i materassi e tutto ciò che serve in una palestra scolastica. Sapeva che quella porta non era mai chiusa. Una volta un gruppo di ragazzi giocando con i carrelli che contengono i palloni da basket e da pallavolo ruppero lo stipite laterale dove finisce solitamente la serratura e da allora non fu più riparata. La aprì e prese un pallone arancione della spalding.
Il suono sordo del rimbalzo della palla echeggiò nella palestra vuota. Gli altri si girarono, ma invece di preoccuparsi, sorrisero.

“Due contro due?” disse maliziosamente Marco.
“Perché no” rispose Dario.

La palestra, che aveva un lato collegato con la scuola, si trovava lontana quanto bastava da abitazioni o strade troppo trafficate, sapevano che nessuno li avrebbe sentiti da fuori. Anche se nessuno si pose troppi problemi.
Iniziarono a giocare. Dapprima con poca veemenza, per poi aumentare l’adrenalina e la competizione insita in quell’età. L’idea che li aveva portati li dentro ora era accantonata e il gioco aveva preso il sopravvento. Un passaggio, un tiro sbagliato, sberleffi e risate con eco riempirono il silenzio del luogo. Non si accorsero della figura in ombra che li guardava da almeno un mezz’ora.

Dario staccò un tiro da tre perfetto e il “ciuff” della rete bucata fu seguito da un applauso proveniente dal fondo della palestra. Li ghiacciò.

“Bravo, bel tiro e ottimo stacco di gambe. Peccato che siate lenti a muovervi suoi passaggi” disse l’ombra.

Nessuno ebbe il coraggio di rispondere. Erano dei vandali, scassinatori e imbrattatori di professione, ma non avevano ancora sedici anni e non erano nel Bronx.

“Beh, perché vi siete fermati?Non vi piace un po’ di pubblico?” proseguì l’uomo mentre avanzava verso di loro.
“Ecco..noi..veramente..” balbettò Gianluca.
“Noi abbiamo trovato aperta la palestra e siamo entrati a fare un giro e” si giustificò Paolo.
“Certo come no, ed io sono arrivato volando sul mio tappeto magico” lo schernì senza farlo finire “Ok ragazzi, non prendiamoci in giro. Avete scassinato la porta della palestra, non so per quale motivo, forse per imbrattare un po’ questo posto, come presumo abbiate fatto con la scuola qualche tempo fa. Non ci vuole Sherlock Holmes per capire che siete voi quelli che stanno facendo danni da un po’. Quello che non capisco è perché siete rimasti qui a giocare a basket, non credo che tutto questo casino lo abbiate fatto per una partitella che potevate benissimo fare al parchetto dell’oratorio”

La sua voce era calma. Nessuno di loro ebbe l’istinto di scappare, c’era solo un forte imbarazzo perché nemmeno loro sapevano perché s’erano fermati così a lungo perdendo di vista il progetto iniziale della loro bravata.

“Beh io ora comunque dovrei chiamare la polizia, qui c’è stato un tentativo di furto e ci sono sicuramente dei legami con tutto quello che sta succedendo in questo periodo” disse più a sé stesso che ai quattro ragazzini.
“No!La prego, non abbiamo fatto nulla di male, cioè, si abbiamo fatto una cazzata, forse più di una, ma non chiami la polizia. Mio padre mi ucciderebbe” lo implorò Gianluca.
“Sei la solita ragazzina Gian” intervenne Dario “Noi ora potremmo anche metterci a correre e lei non riuscirebbe a prenderci. E negheremo tutto”
“Sì certo potete farlo, ma ora io so chi siete e posso far partire qualche denuncia. Chissà che a casa vostra non si trovi qualche bel materiale rubato alla scuola o gli spray usati per colorarla. Che poi vi prendano o meno immagino che le vostre famiglie qualche sospetto lo avrebbero e vi renderebbero la vita molto difficile. Ho invece un’altra proposta..”

La calma con cui aveva esposto la situazione convinse i quattro amici a tacere e non fare altre obiezioni. Paolo e Marco si sedettero, la partitella e lo spavento di essere stati scoperti aveva rosicchiato le loro ultime forze. Dario, che pur di non farsi vedere in difficoltà con qualcuno avrebbe camminato sui carboni ardenti con il sorriso stampato in faccia, restò in piedi osservando l’uomo con fare interrogativo. Gianluca era paralizzato dal pensiero che il padre scoprisse tutte le sue stupidate e, con la salivazione azzerata, attendeva il responso sul suo destino.

“Voi forse non mi conoscete, ma io alleno la squadra di mini basket del paese. Mi chiamo Vittorio e sto cercando di creare una seconda squadra per i campionati giovanili che inizieranno tra un mese. Vi ho visto giocare, mancate di fondamentali e disciplina,la cosa non mi stupisce, ma avete tutti e quattro un buon tiro e tu” indicò Gianluca che si spaventò ulteriormente “ sei abbastanza alto da diventare un buon pivot. Voi domani vi presentate qui alle diciotto, vi iscrivete e cominciamo ad allenarci insieme agli altri ragazzi. Io non dico niente a nessuno e mi limito a segnalare l’ultimo atto vandalico da parte di ignoti. Quello che vi chiedo è di resistere fino alla prima metà del campionato. Poi sarà vostra scelta restare o andarvene. Io non vi denuncerò anche se doveste decidere di mollare.”

Si guardarono fra di loro. La luna, spettatrice incuriosita, sembrava affacciarsi alle vetrate della palestra per sentire cosa avrebbero deciso di fare. Sicuramente li aveva spiazzati con una proposta del genere. Da pecore nere del paese non si sarebbero mai aspettati di essere trattati in quel modo da un adulto. Vittorio aveva, con poche parole, conquistato il loro rispetto.

I ricordi di Marco vennero interrotti dallo speaker dell’aeroporto che annunciava il suo volo e l’apertura del gate. Prese il suo bagaglio e raggiunse la fila che si stava formando davanti all’entrata. Quella sera segnò una svolta nella vita di ognuno di loro. Non erano certo dei delinquenti accaniti, ma era sicuro che se avessero continuato su quella strada, se quella notte non avessero incontrato Vittorio, forse si sarebbero persi. Ogni ordigno esplosivo parte da una piccola, insignificante scintilla, una miccia che li avrebbe portati verso altri destini.  A volte, nella vita di una persona, basta una piccola chance, per cambiare, per svoltare il proprio fato. Quando succede, nel momento in cui si è davanti al bivio, magari non è chiaro cosa stia succedendo, ma il tempo è capace di spiegare ogni cosa. Vittorio fu la loro possibilità, l’occasione da non perdere.  E gli anni successivi furono probabilmente i migliori vissuti dai quattro amici.

Il giorno dopo, Marco,Paolo,Gianluca e Dario si presentarono alla palestra alle diciotto in punto. I segni dello scasso serale erano evidenziati da un lucchetto da bici enorme usato per chiudere le porte in sostituzione della serratura divelta da Dario. Il coltellino svizzero al sicuro a casa, nascosto in fondo all’armadio con tutti i suoi fumetti. Vittorio, vedendoli arrivare, sorrise dentro di sé, non mostrò questa felicità ai quattro, ma sapeva che aveva vinto almeno una piccola battaglia con loro. Li invitò a cambiarsi e a compilare i moduli per l’iscrizione. Dopo di chè li fece correre, correre e ancora correre. Quella prima giornata d’allenamento li sfiancò come mai in vita loro. Rispetto agli altri ragazzi erano decisamente senza allenamento, ma a quell’età si recupera facilmente.

Marco sorrise pensando che avrebbero dovuto arrivare solo fino all’inverno e alla fine della prima parte di stagione, ma non smisero di giocare per tutto il liceo e i primi anni d’università.
Poi, lui e Dario litigarono,ma quella era un’altra storia. Ora Vittorio aveva bisogno di loro. 

Consegnò la carta d’imbarco all’hostess della easyjet, che controllò la grandezza del suo bagaglio e gli augurò buon viaggio.


“Speriamo” non poté fare a meno di risponderle Marco.

2 commenti:

Fabrizio ha detto...

ebbravo il nostro (h)al!

cooksappe ha detto...

Due contro due?