giovedì, dicembre 17, 2009

Caduta libera!

Come sempre, nel nostro favoloso paese, ogni evento assume proporzioni politiche esagerate. Il gesto di un folle, mosso solo da una pazzia che da anni cercano di curare, è diventato motivo per condannare, perseguitare (mediaticamente per ora), accusare e infamare giornalisti che con i loro articoli o con le loro trasmissioni, da tempo, cercano di offrire un punto di vista diverso, onesto, nel buoi marasma dell'informazione italiana. Additare "il Fatto", "Annozero" e "ballarò", ma anche la Repubblica con le sue domande al premier, indicandone come i mandanti morali del gesto di Tartaglia, è pura follia. "E' una cagata pazzesca" direbbe il ragioniere per antonomasia!Va bene sfruttare mediaticamente "l'orgoglio del presidente mentre esce insanguinato dall'auto" o il normale moralismo che può comunque suscitare un'attacco vigliacco come quello che ha subito, perchè la violenza va sempre condannata (come alla scuola diaz, come con Cucchi, come con i manifestanti caricat, vabbè scusate..tuffo nell'utopia). Ma attaccare così spudoratamente i proprio nemici mediatici, poche ora dopo l'accaduto, fa proprio pensare che non aspettassero altro che un pretesto. Inoltre fomentano odio per condannare l'odio stesso. Chiudiamo i siti quindi, anche i blog inutili come questo; blocchiamo google che potrebbe mostrarci filmati che osannano fanatici politici o religiosi; chiudiamo i giornali "sovversivi" che non possano mai più contraddire il potere e istigare violenti rappresaglie; mandiamo nelle strade gruppi armati pronti a caricare chiunque abbia uno striscione o una bandiera con Che Guevara, nel dubbio, per essere sicuri. E poi aspettiamo che la Guerra tra Oceania, Eurasia ed Estasia finisca!
Ma per favore!


IO STO CON TRAVAGLIO!!!A FIANCO L'ADESIONE!
"Ho quarant'anni qualche acciacco troppe guerre sulle spalle
Troppo schifo per poter dimenticare
Ho vissuto il terrorismo stragi rosse stragi nere
Aereoplani esplosi in volo e le bombe sopra i treni

Ho visto gladiatori sorridere in diretta
i pestaggi dei nazisti e della nuova destra
Ho visto bombe di stato scoppiare nelle piazze
E anarchici distratti cadere giù dalle finestre"
(Quarantanni, Modena City Ramblers, 1994)

venerdì, dicembre 04, 2009

Perchè dovevo rispondere all'ignoranza!

Vorrei rispondere, anche se non mi è stato chiesto, all’articolo del (presunto) filosofo Alessandro Alfieri e lo farò proprio partendo dal suo post (i pezzi in corsivo sono presi dall'articolo stesso,nda).

“Idolatrato dalla folla, acclamato dalla stragrande maggioranza dei giovani come profeta, come mentore assoluto (al quale è stato attribuito l’appellattivo mai così inadatto di “poeta”), Vasco Rossi è un caso esemplare di fenomeno-personaggio che apparentemente, attraverso la sua facciata esteriore, pare quanto di contrario alle condizioni del sistema vigente, ma che sotteraneamente, anche inconsciamente, partecipa al Male integrandosi perfettamente alle sue dinamiche sociali e culturali.”

Se vogliamo definire o meno un cantante che da oltre trent’anni scrive testi di canzoni che, volenti o meno, hanno accompagnato la storia della musica italiana come Poeta, forse non è proprio un errore o uno scandalo così grande, dato che oggettivamente non si può ignorare a livello letterale una figura come quella di Vasco Rossi. Tenga presente che la poesia italiana nasce dalla canzone popolare e che opere che son diventate pilastri della nostra letteratura, come per esempio la Divina Commedia, erano scritte in metriche che creavano suoni ritmici alla lettura. Ma probabilmente lei non ha mai colto tali sfumature poiché troppo preso dal contrasto fenomeno-personaggio di Dante. Ora, non si vuole paragonare il sommo poeta con Vasco e viceversa, ma è da stupidi nonn considerare la musica come forma di letteratura. E Vasco ne fa parte. Forse è quel volgo, quel linguaggio spicciolo e diretto che la offende, ma lasci che le dica che noi “masse” siamo molto più suscettibili alla parlata sciolta ma colma di passione che quella stereotipata e fintamente colta che lei utilizza.

“Il fatto che Vasco “parli alle folle”, e che lo faccia con un linguaggio simile al suo, arrivando a un numero imprecisato di persone (come nessun altro ha mai fatto), non gli garantisce una positività e una legittimità assolute. Definire Vasco il più grande, perchè “lo conoscono tutti”, perchè “le sue canzoni le hanno ascoltate tutti anche solo una volta”, perché “le sue frasi sono scritte sulla maggior parti dei diari” delle ragazzine e dei ragazzini del liceo, è un gravissimo errore, e spiegherò il perchè. Per iniziare, mi basterà dire che questa “logica di legittimazione” è la stessa sventolata prepotentemente con insistenza da Berlusconi e da tutta la sua cricca. La maggioranza non decrerta una valore, mai! Molto spesso, anzi, sancisce le condizioni del Male perpetuato, e perciò si rovescia nel disvalore integrato nel pensiero massificato e nel livellamento culturale.”

E con che linguaggio dovrebbe parlate una persona, se non “il suo”? Preferirebbe un cantautore che utilizzi un linguaggio più aulico (secondo il suo giudizio) ma che non sarebbe il proprio e quindi falso? Ma se nel capoverso prima lo accusava di utilizzare una “facciata esteriore”? Si decida, che diamine! Vasco non viene definito il più grande per i motivi da lei inutilmente elencati. Le sue canzoni sono colme di passioni, di verità e di esperienze che ogni persona ha vissuto nella proprio vita, a fasi diverse, dall’adolescenza alla maggiore età. E’ cresciuto insieme alle sue opere e al suo pubblico, è diventato presto uno di loro per il fatto di essere VERO. E mi dispiace per lei che la veda in questo modo poiché forse, non ha mai provato il dolce sentimento dell’innamoramento e tutte le tragedie che ne seguono, non ha mai preso una sbronza con gli amici fermandosi a cantare a squarciagola alla luna, non ha mai vissuto. Evitiamo poi il paragone con Berlusconi. Quella che cita lei da parte del suo premier è una ostentazione quasi imposta di presenza fisica e mediatica, una cruda distruzione del pensiero che viene sostituito con una falsa immagine di perbenismo che punta all’ignoranza della massa governata dalle TV. Per un cantante, che sia Vasco, Ligabue o De Gregori c’è una componente fondamentale che a lei, sicuramente, manca, la passione!

“La massa impressionante di fan e stimatori di Vasco apprezzano in lui loro stessi, ovvero il mantenimento dell’identità personale e collettiva che ha permesso al nostro paese di andare allo sfascio. Probabilmente Vasco non è solo l’espressione e l’interprete di una sensibilità e di una psicologia collettiva, ma è lui stesso fautore del mondo che ci ritroviamo a vivere oggi (perciò è doppiamente colpevole: colpevole di reiterare le condizioni attuali, e colpevole di esserne il maggiore responsabile). Vasco, come Berlusconi, ha determinato le condizioni del suo successo, istituendo l’orizzonte di senso (claustrofobico e senza uscita) all’interno del quale, anno dopo anno, tautologicamente, si ri-conferma sovrano assoluto. I suoi amorevoli sostenitori non hanno per la maggior parte alcuna coscienza di cosa sia la musica, e perciò stesso l’arte; si chiudono nella tautologia di ciò che stanno ascoltando, e perciò rivendicano l’identità imperante della propria soggettività senza alcuna disponibilità al “nuovo”, al “mutamento”, alle “esperienze innovative” che sole potrebbero frantumare l’ordine vigente del “sempre uguale”. Fredric Jameson in Postmodernismo afferma che “[…] quel singolo brano pop, per mezzo della ripetizione, diventa inavvertibilmente parte del tessuto esistenziale della nostra vita, così ciò che ascoltiamo siamo in realtà noi stessi, o meglio il nostro proprio ascolto precedente.”

Ed eccoci alle offese. Se io seguo Vasco e la sua discografia per i motivi sopracitati, ora dovrei sentirmi causa dello sfascio del nostro paese? Non invece persone come lei che hanno la possibilità di informare la gente su questioni veramente importanti utilizzando i mezzi giornalistici in maniera adeguata, invece di cercarsi facili pubblicità criticando senza ragion di causa chi con lei non ha nulla a che vedere. Come si permette d’insultarmi e d’insultare tutte le migliaia di persone che seguono il cantante di Zocca? Colpevole di cosa? Siamo arrivati a questo punto in Italia, da non vedere qual è il vero grosso problema e di cercare capri espiatori? Ma lei ci conosce tutti? Tanto da sapere che non abbiamo coscienza musicale? Sono cresciuto a pane, Beatles, Rolling Stones e Beethoven, ma anche King Crimson, Hendrix e Bob Marley, ora smanio per gruppi come Radiohead e Coldplay, amo anche gli U2 e impazzisco per “Il mondo perfetto” di Dvorak, ma nulla mi inebria come un concerto di Vasco. E quindi? Passione!Ricorda?E se per lei l’incapacità di ascoltare e non sentire le sue canzoni deve tramutarsi in rabbia e generalizzazione del “sempre uguale”, beh sono proprio triste per lei.

“Questo per dire come l’ “apparente bellezza” che i più riscontrano nei pezzi di Vasco ha a che fare principalmente col fatto che in realtà stiamo ascoltando ciò che appartiene “già” al nostro tessuto esperenziale e emotivo. E’ il riproporsi del cricuito del “già detto”, “già fatto”, e la canzone di Vasco sfrutta subdolamente il godimento generato da un sentimento di “partecipazione”, di “familiarità” e di “condivisione” che appartengono al Male assorbito da ognuno degli ascoltatori dall’esterno, incamerato e fatto proprio nelle modalità di pensiero, nelle (in)capacità riflessive e nella prassi di attribuzione di valore alle cose. Vasco deve alle TV, ai giornali, alla pubblicità, alle radio il suo successo infinito, perchè non viene concessa la possibilità di ascoltare e fruire qualcosa di diverso. E’ perfettamente integrato nella logica dell’identico, perchè lui stesso impone tanto l’oggetto del culto, quanto il criterio per ritenerlo migliore di altre cose. Per dirla in altre parole, il pressappochismo formale e artistico, la mancanza di “classe” e “stile”, la “sgrammatizzazione” più becera sono all’origine dei nostri problemi attuali, politici, sociali e culturali, mentre appaiono agli occhi degli ingenui come tentativi di “emancipazione” e come garanzie di “autonomia” dal potere.”

Altre offese e altra ignoranza. Evito di ripetermi, come lei invece adora fare e passo a dirle che se c’è un cantautore che in Tv ci va pochissimo e ancora meno sui giornali, quello è proprio Vasco Rossi. Se poi parliamo di ripetizione e già visto, anche senza il signor Rossi la TV e i giornali sono costantemente una ripetizione inutile dello stesso rotocalco, un po’ come i concetti del suo pseudo-articolo! Per i problemi nostri attuali, non cerchi facili accuse nella “sgrammatizzazione” di Vasco, ma guardi un po’ agli ammanchi storici della nostra formazione scolastica, dove per anni si susseguono riforme atte a distruggerla nella parte più importante, la cultura e la sua diffusione.
“Vasco Rossi rappresenta allegoricamente tutto ciò che di Male hanno generato gli anni ‘80: il culto dell’arroganza, l’ignoranza e la trascuratezza elargite a valore, la convinzione che la logica del “duro” fosse adeguata per ergersi contro il sistema dominante. Come diviene palese nel corrispettivo americano di Vasco, ovvero nei Guns’n'Roses, si è creduto negli anni ‘80 che la formula migliore di opposizione al dominio fosse quella di rinunciare alle caratterizzazioni proprie di esso, e queste caratterizzazioni furono rintracciate nella “cultura” e nella “conoscenza”. Addirittura al di là della concezione di “cultura alta” e “bassa”, la nuova generazione si rifiutò di avvicinarsi anche approssimativamente all’arte, alla comprensione critica, allo studio, convinti che tale approccio ostentasse una mancata-omologazione. Alla conoscenza e alla volontà di comprendere criticamente il mondo attraverso lo studio, si sostituì un “I don’t care” ereditato dal punk inglese, così come dall’esperienze inglesi della fine degli anni ‘70 si ereditò il culto delle droghe sintetiche, la logica dello “sballo” e il menefreghismo edonisitico. Ma, mentre il punk mantenne ferma la sua netta avversione allo status quo, dato che era nel suo stesso concetto l’impossibilità di essere assorbito da esso (tanto esteticamente quanto stilisticamente e formalmente), con Vasco fenomeno e mercato fanno tutt’uno. Diviene l’autore più seguito e stimato dai giovani, che ne apprezzano il rifiuto della serietà, il culto del “popolare” inteso come “mantenimento dell’ignoranza”. In questa maniera il sistema vigente trova la maniera più adatta per proseguire il suo inarrestabile cammino, perchè ha generato esso stesso un’apparente forma di “opposizione” perfettamente controllata. Oltra a incentivare il mercato, Vasco contribuisce a mantenere intere generazioni nell’ignoranza e nel rifiuto della scoperta del nuovo, e nella convinzione che il modo migliore di relazionarsi alla vita sia fregarsene di comprendere il mondo.”

Gli anni 80 hanno generato altro male, lei dovrebbe ben saperlo dato gli studi umanistici che ha seguito. Gli anni 80 sono stati culla di mali come la mafia contro i magistati, dell’affermazione di persone come Craxi e Andreotti, della Milano da bere e poi abbandonare, della DC che ha contribuito pesantemente al debito pubblico, al proliferare di imprenditori protetti da circoli mafiosi e politici capaci di compiere nefandezze alla luce del sole. Questi sono i mali degli anni 80. Vasco Rossi è stato e lo è tutt’ora, una voce del popolo. Invece che puntare il dito per accusare, perché non prova ad ascoltare cosa questa voce e tutte quelle che sono poi salite a coro, cercavano (e cervcano ora) di comunicare? Perché non coglie l’occasione per affrontare con criterio un’analisi sul messaggio che Vasco ha voluto portare avanti? Eviti di avventurarsi in campi che non conosce citando i Guns’n’ Roses (chi ascoltava anche loro insieme a Rossi avrebbero dovuto impalarlo per non rovinare ulteriormente l’Italia?) e il punk anglosassone (che, per dover di cronaca si posiziona prima degli anni 80!), gruppi semplicemente geniali come i Ramones o i Clash per lei sono perle al porco. Se da tutta la discografia di Vasco lei trae come messaggio che nella vita bisogna fregarsene del mondo proprio non capisce nulla, ma non di musica, di tutto. E forse chi continua a vivere nell’ignoranza non siamo noi, suoi fans, ma lei e tutto il suo falso e costrutto perbenismo falso filosofico.

L’invidia, dice mia nonna, è una brutta bestia!

"Anche se
non rischi mai
anche se di te non si sa niente mai
Anche se
non ce l'hai
un'amante, un vizio strano...
qualcosa dai....

NEANCHE UN PICCOLO DIFETTO...
PRATICAMENTE PERFETTO
E ALLORA DI'
CHE COSA VUOI E DA CHI!!! "

(Praticamente perfetto, Vasco Rossi, 1996)

Professione reporter (?) 2

Quasi per magia, con una premonizione in realtà non troppo difficile, ecco che ieri scrivevo della capacità dei giornalisti italiani di sbattere il mostro in prima pagina senza però occuparsi realmente di ciò che a volte scatena certe scelte. Ma il vizio di salire e scendere dai carri dei vincitori è proprio della logica italiana. Non da meno nello sport. Confermo quindi che anche sulla Rosa di oggi, on-line e non, non vi è traccia di questioni futili come il doping che insidia le radici del ciclismo, ma sul sito gazzetta.it possiamo trovare una notizia legata ad una presunta frode fiscale da parte di Paolo Bettini. Ora, non m’interessa esprimere giudizi su Bettini, sarà la finanza ad occuparsene, come fece con Valentino Rossi, ma ci tenevo a sottolineare che la notizia per ora è il terzo articolo visibile sul sito, pensate, in mezzo a tutti quelli calcistici si è riuscito ad inserire il buon Paolo!Che scatto! Complimenti!Vivissimi complimenti per l’ennesima prova di professionalità di questo quotidiano e, da lettore di vecchia data, per l’illusione creatami direttamente dal suo direttore!


Anche il corriere della sera ha subito messo la notizia dell’indagine su Bettini tra le più visibili del sito e sicuramente domani sarà in prima pagina su entrambi i quotidiani. Quindi per chi segue un po’ il ciclismo oltre il danno la beffa, mentre per i suoi detrattori altra carne al fuoco! D’altra parte si sa, in Italia, il resto dello sport è carne da macello.
Speriamo solo, a questo punto, che i sacrifici fatti per raggiungere certi livelli agonistici, scaturiscano nelle menti dei giovani atleti un necessario cambiamento, una protesta comune. In modo che quell’inspiegabile foga che prende il tifoso nell’ammirare le gesta del suo prediletto, possa essere cibata da persone pulite e coraggiose, capaci di compiere un miracolo al di là degli ostacoli posti da una società dominata dall’immagine!



“Ecco l'agnello di Dio all'uscita dalla scuola.
Ha gli occhi come due monete,
il sorriso come una tagliola.
Ti dice che cosa ti costa, ti dice che cosa ti piace.
Prima ancora della tua risposta ti dà un segno di pace.
E intanto due poliziotti fanno finta di non vedere.
Oh, aiutami a fare come si può, prenditi tutto quello che ho.
Insegnami le cose che ancora non so, non so.
E dimmi quanto maschere avrai e quanto maschere avrò.”
(L’agnello di Dio, De Gregori Francesco, 1996)


giovedì, dicembre 03, 2009

Professione reporter (?)

Alla fine del post di ieri,segnalavo, nel post scriptum, come il maggior esponente dei quotidiani sportivi, ignorasse la notizia, che ancora, dopo averla riletta, considero molto schoccante. Preso però da un senso di correttezza e dato che è facile accusare indirettamente un quotidiano per un misero blog come questo, ho scritto una mail al direttore della Gazzetta dello Sport, segnalando la notizia e il fatto che sulla Rosa non vi fosse nessun riferimento. Con mia enorme sorpresa, dopo poco più di un’ora, mi risponde il direttore, Verdelli Carlo Italo, con le seguenti parole: “(…)inutile dirle che i suo sentimenti in materia di doping sono, da sempre, quelli della Gazzetta. La ringrazio della segnalazione, che giro subito ai responsabili dei desk interessati. Cordialmente.cv” E in effetti in copia alla mail vedo altri due account, probabilmente relativi ai giornalisti che si occupano di ciclismo. Fiducioso ringrazio ed attendo. Sul sito ancora nulla. Ma spero proprio vi sia qualcosa sullo stampato stamane. Niente. Vince ancora il silenzio. Non che mi aspettassi quale segnalazione, ma in un momento in cui non ci sono stati match di calcio dal Week End scorso, in giorni dove le pagine vengono riempite da inutili nonché sempre uguali interviste a quel calciatore o a quell’allenatore, in giorni in cui le prime pagine di questo quotidiano possono anche contenere notizie relative ad altri sport con maggiore spazio….niente. L’unica pagina di ciclismo la si trova alla 27 (ieri avevo scritto 25…che ottimista!!!) e non accenna nemmeno in un trafiletto alla testimonianza del giovane ciclista di cui sotto potete leggere. Inoltre un giornalista di una testata così importante oltre che a limitarsi di copiare la notizia sul quotidiano per cui lavora, ha i mezzi per compiere un’inchiesta, capire chi sia il giovane, intervistarlo, approfondire. Da molti giornali sono partite inchieste, da trasmissioni come striscia o le iene, da “Il Fatto Quotidiano” e da “il Giornale”, quando era in mano ad un vero giornalista, Montanelli. Perché questo silenzio? Poi quando l’ennesimo ciclista italiano colmo delle speranze dei suoi tifosi viene colto in fragrante, titoloni a prima pagina e condanne ad un mondo malato e devastato come quello del ciclista!Ottimo!Viva il tempismo!La notizia, se non riguarda il calcio, che comunque seguo con passione da sempre come altri sport, non è notizia. Ma lo capiamo che qui si sta minando la mentalità delle nuove leve sportive italiane? Riusciamo ad accorgerci che stiamo raggiungendo un punto di non ritorno? Ma dove sono i giornalisti? Che fine hanno fatto? E non stiamo nemmeno affrontando temi politici scottanti!?! Forse ormai è un morbo che si espande nelle maggiori testate italiane.

Noi, comunque, attendiamo, ci sediamo con calma e vediamo se questo silenzio è dato solo da tempistiche necessarie alla realizzazione di un servizio dettagliato, curato e di rispetto nei confronti di chi ama lo sport e chi, in teoria, dovrebbe viverlo, ogni giorno, nella propria redazione!


“Mentre fra gli altri nudi
io striscio verso un fuoco
che illumina i fantasmi
di questo osceno giuoco.

Come potrò dire a mia madre che ho paura?”

(Cantico dei Drogati, De Andrè Fabrizio, 1968)

mercoledì, dicembre 02, 2009

La testa (persa) della corsa

Ricordo che la prima vera grande emozione da tifoso del ciclismo l’ho avuto con Marco Pantani nel ’98. Al Giro d’Italia. Erano anni che mio padre, corridore amatoriale e adoratore di quel ciclismo fatto di sudore e fatica, di gambe distrutte dalle salite che ancora pompano sui pedali, mi narrava di epiche corse divenute ai miei occhi, ancora privi della tecnologia della rete, battaglie mitiche tra eroi fatti di ferro e tuoni che si combattevano per la gloria di una vetta. Perciò per tutta l’infanzia ho sempre seguito volentieri le competizioni ciclistiche, dal Giro al Tour, alla Milano-San Remo e i Mondiali ed ancora oggi, quello sport mi prende diversamente da altri forse anche perché crea involontariamente un forte legame paterno. Ma mai avevo trovato il mio “eroe”, erano tutti corridori che piacevano a mio padre e come tali li seguivo. Marco Pantani lo sentivo mio. Piaceva, ovviamente, ad entrambi, ma era un comune piacere e non osmotico.

Rammento che nell’estate del ’98, ero solito videoregistrare la tappa per mio padre, che per lavoro il più delle volte se la perdeva, per poi rivederla sinteticamente con lui la sera, prima delle uscite con gli amici. Fu il giorno della terzultima tappa del giro, tra Mendrisio e Lugano, che precedeva la crono finale prima della sfilata milanese. Era stato un giro testa a testa tra Pantani e Tonkov, Marco era in rosa ma il distacco era veramente esiguo, soprattutto perché il russo era più forte e disciplinato in cronometro. Mi alzai per far partire il videoregistratore per i consueti ultimi kilometri e non riuscì più a muovermi. Una volta che il tasto rec avviò la registrazione e i miei occhi tornarono sullo schermo, Pantani iniziò con i primi attacchi, prima gettando la mitica bandana, poi gli occhiali, poi la rabbia. Gli anni precedenti lo avevano visto vittima di incidenti stradali mentre si allenava, gatti grigi che lo facevano cadere in gara e preparazioni altalenanti. In quegli scatti, che sembravano cartucce preparate con cura da tempo, lasciate lì per il duello migliore, il più bello, quegli scatti, che tagliavano il respiro sotto un sole caldo ed impietoso, che anche da casa sembrava senza ossigeno, quegli scatti sono entrati nella mia vita in quel momento e non se ne sono mai più andati. Alla fine Tonkov, dopo l’ennesimo affondo cedette e non vide più la schiena del “Pirata”, che vinse tappa e tour, dato che anche il giorno dopo riuscì a tenersi dietro il suo avversario in cronometro. Ma la vittoria era arrivata con quell’ultimo strappo e lo si leggeva nella faccia di Tonkov che molla, lascia, alza bandiera bianca. La sera stessa non stavo nella pelle e benché rividi la tappa e gli ultimi minuti per diverse volte prima dell’arrivo di mio padre, non vedevo l’ora di leggere nella sua faccia quello che sicuramente c’era nella mia quel pomeriggio ormai lontano. Poi umiliò anche un certo tedesco al Tour, vincendo un'accoppiata senza precedenti.


Dopo allora, Marco Pantani è stato distrutto. Forse per un potere troppo alto che non voleva il ciclismo così seguito a discapito di altri più remunerativi sport. Forse per la sua fragilità. Forse solo per fatalità. Non è questa la sede e non lo sarà mai, Marco Pantani per me è stato e sempre sarà, solo, “Il Pirata”. Ma con la sua eclisse e con gli anni successivi un nome ha preso piede nel ciclismo e, ormai, viene quasi usato come cinico sinonimo: doping. Purtroppo i casi di ciclismo infetto si sono susseguiti in questo decennio con scala sempre più ampia e situazioni al limite dell’imbarazzo: squadre perquisite la notte a sorpresa, test effettuati anche fuori dal periodo di gare, esami del sangue esposti online per dimostrare la proprio innocenza. Non dico non sia giusto ma non oso pensare cosa succederebbe se fosse fatto in altri ambienti sportivi (e mi fermo).


Leggiamo oggi, da Repubblica, la testimonianza di un giovane dilettante juniores che alla vigilia della prima vera gara da professionista, vede le sue speranze e i suoi sogni, le sue fatiche e i suoi sacrifici, infranti, disintegrati, da una siringa e dalla triste verità sputatagli in faccia direttamente dal suo nuovo preparatore atletico che, con una certa insolenza, rimane stupefatto che il giovane sia “tutta farina del suo sacco”, che non abbia mai chiesto aiuti farmacologici e che, inoltre, insolenza più grande, ne rimanga stupefatto. Ora quel ragazzo ha abbandonato il ciclismo, spero ci ripensi, mi auguro sinceramente che lo faccia. Ma spero anche che abbia il coraggio di denunciare, di condannare e di aiutare ancora di più le federazioni e le forze dell’ordine. Perché io rivoglio le sensazioni forti e vere che questo sport negli anni ha regalato a mio padre, a me e a tutta quella “carovana” di personaggi che ogni anni annidano le strade impervie dei tapponi di montagna, che ci sia sole o grandine. Rivoglio l’onore di uno sport epico, solitario e coraggioso. Dove non hai tempo di pettinarti i capelli o lamentarti per un’infrazione. Dove la moviola non serve a nulla, ma serve solo il cuore, tanto cuore!

“Sono seduto in cima a un paracarro
e sto' pensando agli affari miei
tra una moto e l'altra c'e' un silenzio
che descrivere non saprei.
Oh quanta strada nei miei sandali
quanta ne avra' fatta Bartali
quel naso triste come una salita
quegli occhi allegri da italiano in gita
e i francesi ci rispettano
che le balle ancor gli girano
e tu mi fai dobbiamo andare al cine
vai al cine vacci tu
Za za za zaz!”
(Bartali, Paolo Conte, 1979)

p.s. è fantastico vedere come un “quotidiano sportivo” nonchè maggiore sponsor della gara (quasi omonima) in rosa, come la Gazzetta dello sport, ancora non riporti nulla sul suo sito, soprattutto dato che il compianto direttore Cannavò era un noto amante delle due ruote a pedali…speriamo domani di leggere qualcosa sul giornale stampato..almeno prima di pagina 25!