domenica, maggio 26, 2013

Ma dov'eri finito? (parte 2)


Il menù di selezione importo del bancomat gli restituì solo due scelte:20 euro o annulla. Si rallegrò. In effetti già il fatto che non fosse in rosso da giorni era quasi un miracolo. Gianluca selezionò l’unica cifra disponibile e dopo aver ritirato il suo tesoretto, si diresse verso la stazione della metro lì vicino. Si era svegliato su di una panchina nel parchetto che costeggia la stazione della metropolitana di Cimiano. A parte i primi 5 minuti di incoscienza, si ricordò subito il perché di quello strano risveglio. La sera prima, dopo la scomparsa “romantica” di Paolo, lui e Dario avevano trovato un passaggio aggregandosi alla compagnia degli amici bergamaschi di Fulmine, riuscendo poi a farsi caricare da una coppia di ragazzi che passavano vicino al loro paese. Solo che prima c’era d’accompagnare un’altra ragazza che abitava vicino a dove lui ora si trovava. Il viaggio fino a li era stato lunghissimo a causa delle frequenti soste imposte dallo stomaco di Gianluca, che visto il parchetto vicino e sapendo che le metro sarebbero ripartite dopo poche ore, aveva a tutti costi insistito per fermarsi a riposare. Dario dormiva già da tempo sul suo sedile e nessuno oppose troppa resistenza(due elementi del genere in auto potevano essere un problema).
Conosceva molto bene quella situazione:in macchina non avrebbe mai smesso di vomitare,necessitava di un posto in cui sdraiarsi e il clima mite gli aveva dato la giusta scusa.
In effetti ora stava molto meglio, il dolore agli addominali causato dai conati della sera prima era lieve. Ovviamente poteva uccidere con l’alito!Era un po’ allibito dal fatto che fosse già l’una del pomeriggio. Ciò voleva dire che se n’era stato su quella panchina per quasi otto ore. Una fortuna, pensò, il modo migliore per far passare una sbronza colossale!
Decise d’investire una parte del suo pil personale in cappuccino e brioche, per dare tregua allo stomaco brontolante, che ormai si stava riprendendo accorgendosi di essere completamente vuoto!
Si guardò un po’ i vestiti e decise che non aveva l’aspetto di un homeless alcolizzato, piuttosto di una persona che aveva avuto una brutta nottata.
Mentre si rifocillava, provò a chiamare Paolo, ricordandosi che quella sarebbe stata una delle ultime chiamate possibili dato che la bolletta dell’abbonamento telefonico non pagata avrebbe portato ad un repentino taglio della sua linea. Altro problema da mettere in lista risoluzioni.
Paolo non rispose, forse stava dormendo, oppure facendo altro. Si rallegrò per l’amico, pagò e si diresse alla metropolitana. Ancora nuvole. Quel terribile maggio non voleva tuffarsi nella primavera e la tregua garantita il giorno prima sembrava già un lontano ricordo. Quei fugaci pensieri, però, vennero bruscamente interrotti dalla spinta del subconscio. L’alcool stava perdendo la sua morsa e il ricordo della mattina precedente e della sorpresa ricevuta dalle mani del padre, tornò violentemente a galla.
Si trovava in camera sua e mentre arpeggiava con la chitarra la corda del mi, la più piccola delle sorelle, si ruppe di colpo arricciandosi quasi tutta alla fine del manico. Gianluca si fermò e la guardò senza espressione. Si era spezzata più o meno all’altezza in cui la stava suonando con il plettro. L’appoggiò al lato del letto e si mise a rovistare nei cassetti della scrivania alla ricerca della corda di ricambio. Perso nella ricerca non si accorse della presenza del padre sulla soglia della porta che lo guardava tra il perplesso e il rassegnato. In mano aveva una busta bianca dalla quale sbucava un cartoncino avorio con dei decori dorati sui bordi. Trovò finalmente la busta di plastica che conteneva le corde del mi e ne prese una. Dalla chitarra slegò le due estremità di quella rotta e con movimenti sicuri sistemò la nuova.
“Mi devi dire qualcosa o vuoi stare ad ammirarmi per tutta la giornata?”
“Ti vorrei ammirare su di un palco o per lo meno vorrei ammirare una laurea del conservatorio appesa nella tua cameretta, scusa, camera ora sei un adulto, giusto?”
“Buongiorno papà, vedo che il sole improvviso ti ha messo di buon umore!”
“Se, se..è arrivata questa per te. Mi spiace e come sempre confermi il fatto di essere un moto perpetuo di delusioni” e così dicendo gli porse il fardello bianco che reggeva fra le mani.
“Ti voglio bene anch’io” e lo prese senza troppa considerazione, appoggiandolo sulla scrivania, continuando ad armeggiare con il suo strumento.
“Un’altra delle tue occasioni sfuma così e tu nemmeno la degni di uno sguardo, ha fatto bene a lasciarti”
Gianluca colse subito il riferimento a Serena. Non poteva essere altro. Subito collegò il decoro appena visto e un brivido freddo gli corse lungo la schiena. Sapeva che la sagacia del genitore aveva giusti fondamenti e che fosse un suo diritto cercare di spronarlo a darsi una svegliata, ma l’argomento Serena era off limits. Persino Dario evitava di parlarne, il che spiegava la gravità della questione.
Con mano tremante e esitando un po’, raccolse il biglietto che ora pesava quintali. Lo aprì e vide ciò che sapeva avrebbe visto:

“Carlo e Serena sono felici di invitarvi al loro Matrimonio che si terrà presso la chiesa di Santa Maria Annunziata a ..”

Smise di leggere ma restò con lo sguardo su quei terribili ghirigori dorati. Non li sopportava. Sembravano dirgli guarda quanto cazzo siamo felici, tanto da fare una cosa pacchiana come questa ed esserne orgogliosi.
“beh che ti aspettavi?Lo sapevi da tempo che s’erano fidanzati. Anzi sono stati pure gentili ad invitarti alla cerimonia” rincarò il padre prima di lasciarlo al suo dolore.
Gianluca appoggiò la chitarra e guardò fuori dalla sua finestra.
Il sole pallido illuminava il parchetto di fronte alla loro casa. Orde di bambini lo avevano invaso in crisi d’astinenza di bel tempo. Nella mano aveva ancora l’invito e l’unica cosa a cui riusciva a pensare era, che stronza!

Ma era sempre stato così con Serena. Ed ora doveva metterci una pietra sopra definitivamente. Ovviamente andare al matrimonio era da escludere. Avrebbe declinato all’ultimo momento, inventandosi una qualsiasi scusa.
L’edicolante che gli vendette il biglietto lo guardò con un’aria schifata, ma Gianluca non vi fece caso, forza dell’abitudine. Mentre si stava allontanando, lasciando che la persona dietro di lui potesse avvicinarsi all’omone incastrato dietro alle pile di corrieri e gazzette, lo sentì dire “Che gentaglia si vede in questo quartiere la domenica, pensi che una volta qui ci abitava solo brava gente!”
Prima che potesse rispondere, una voce femminile ribattè “E immagino che una volta la gente fosse più tollerante e simpatica di lei, senza dover per forza schifare gli altri per non schifare sé stesso!”
L’uomo, che a Gianluca era sembrato un gigante, si fece piccolo e disse solo “Sono 1 euro e 50”. La ragazza pagò, afferrò la maniglia del suo trolley e s’avvicinò a lui che stava ammirando la scenetta compiaciuto.
“Grazie, non avrei saputo fare meglio!”
“Di nulla e detto tra noi, sembra che ti abbiano centrifugato, lui è stato molto maleducato, ma tu gliela offri su di un piatto d’argento!”
“In effetti non sono al meglio, dormire all’aperto non ha giovato.Piacere Gianluca” ed allungò la mano verso di lei, rincuorandosi di essersela lavata prima di fare colazione, al bar.
“Federica” ricambiò subito.
Aveva i capelli biondi raccolti a chignon dietro la nuca ed indossava un tailleur grigio perla che le disegnava i fianchi sottili. Due occhi castano scuro lo guardavano dal basso, difficilmente una ragazza era più alta di lui.
“Viaggio di lavoro?” disse lui indicando la valigia
“Più o meno , tu invece, ritorno alla vita?”
Gianluca scoppiò in una risata sincera accompagnata dal sorriso malizioso di Federica.
“Touchè!Sì ieri è stata una serata..diciamo difficile.Festa di laurea,penso di non dover aggiungere altro!”
“No, non è necessario”
Raggiunsero la banchina della fermata e guardarono il led luminoso con i tempi d’attesa delle metropolitane.
“Io vado verso Gessate, otto minuti d’attesa!”
“Io in centrale..e sta arrivando ora” sembrò quasi rammaricarsi la ragazza.
“Le nostre strade si dividono subito, quindi!” disse sornione Gianluca
“Direi di sì, ma potrebbero incrociarsi di nuovo” ammiccò lei
“Lo spero..e magari cercherò di farmi trovare meno..centrifugato!”
Federica sorrise ed allungò nuovamente la mano. La borsa che teneva a tracolla si aprì leggermente, tanto da permettergli di leggere il titolo della guida che conteneva.
“A presto allora, Gianluca.E riprenditi!!”
“Ci proverò!Buon viaggio di lavoro più o meno!”
Il suono delle porte a pressione della metro chiuse i loro discorsi e la portò via.
Mentre aspettava seduto sulla panchina, armeggiando con il tabacco e la cartina, i pensieri che gli avevano rovinato la giornata precedente per una volta non lo stavano tormentano. Il profumo che ancora sentiva chissà come presente lo distoglieva dal resto. Ed un sorriso ebete gli si era dipinto sul volto.
Gianluca capì che si era appena innamorato di una donna che molto probabilmente non avrebbe mai più rivisto.
Guardò ancora il cartello luminoso con la scritta “Gessate”, alle sue spalle, sul binario opposto, una nuova metro s’era fermata. Senza esitare buttò la sigaretta mezza rollata e vi salì. Centrale. Sicuramente un treno. Sperò di fare in tempo.
Tra una fermata e l’altra cercava di pensare cosa dirle, ma non trovava alcuna particolare frase da effetto cinema. Non gli importava. Seguire l’istinto era sempre stato il suo piano migliore. E spesso distruttivo.
Arrivato in centrale corse verso le scale che portavano alla stazione dei treni. Buttò un rapido sguardo verso le casse automatiche e successivamente si fiondò verso gli sportelli della vendita biglietti, ma non la vide.
Aggredì i gradini che portavano ai binari. Davanti al tabellone delle partenze cercò Vienna, sperando che la fortuna di aver visto quella guida nella sua borsa potesse essere un segno.
Binario 17. Andiamo bene, pensò.
Si sistemò quanto poté, ma le corse avevano dato il colpo di grazia al suo abbigliamento da scappato di casa.
Finalmente la vide. Stava cercando il suo vagone e con calma percorreva la banchina, trascinando il suo bagaglio a rotelle. Le si avvicinò cercando di non correre. Ma sembrava un maratoneta che non può alzare i piedi da terra. Quando si trovava a una decina di metri da lei, senti che qualcuno la chiamava da un finestrino.
“Federica!Siamo qui!”
Lei guardò in direzione della voce e fece un cenno con la testa.
Alla porta d’ingresso del vagone due braccia maschili si allungarono per prendere il suo bagaglio e aiutarla a salire. Continuando a camminare, Gianluca la cercò attraverso i finestrini. Poi decise di tornare verso quello da cui lei era stata chiamata. Dentro allo scomparto un uomo in giacca elegante, che dava le spalle al finestrino, stava animatamente chiacchierando con lei, probabilmente accennando al ritardo dei treni o a chissà quale problema.
Anche Federica, girando lo sguardo, lo vide. Sgranò gli occhi e sorrise, facendogli un cenno che lui intuì si riferisse alla porta da cui era entrata.
“Che ci fai qui?”
“Ho pensato di non aspettare che si incrociassero di nuovo le nostre strade”
“E che hai fatto mi hai seguito?”
“No, ho tirato ad indovinare, e la looney planet che usciva dalla tua borsa mi ha aiutato”
Il segnale dell’autoparlante chiamò la partenza del treno per Vienna dal binario 17.
“Ancora interrotti dai mezzi di trasporto” disse Federica
“Ci devono odiare. Come posso rivederti?”
“Torno tra una settimana, vediamoci qui. Dovrei arrivare per le 11 del mattino”
“Ci sarò”
“Vedremo”
E si chiusero le porte del treno.
Lei lo guardò e con il dito indice vicino alle tempie lo schernì con un “tu sei pazzo”
Gianluca la guardò e rispose con le labbra “lo so”

Quando il treno era ormai lontano, pensò bene che potesse andarsene dalla stazione.
Un settimana. Alle undici. Sperò di non scordarselo!

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