Il menù di
selezione importo del bancomat gli restituì solo due scelte:20 euro o annulla.
Si rallegrò. In effetti già il fatto che non fosse in rosso da giorni era quasi un miracolo. Gianluca selezionò l’unica cifra disponibile e dopo aver
ritirato il suo tesoretto, si diresse verso la stazione della metro lì vicino.
Si era svegliato su di una panchina nel parchetto che costeggia la stazione
della metropolitana di Cimiano. A parte i primi 5 minuti di incoscienza, si
ricordò subito il perché di quello strano risveglio. La sera prima, dopo la
scomparsa “romantica” di Paolo, lui e Dario avevano trovato un passaggio
aggregandosi alla compagnia degli amici bergamaschi di Fulmine, riuscendo poi a
farsi caricare da una coppia di ragazzi che passavano vicino al loro paese.
Solo che prima c’era d’accompagnare un’altra ragazza che abitava vicino a dove
lui ora si trovava. Il viaggio fino a li era stato lunghissimo a causa delle
frequenti soste imposte dallo stomaco di Gianluca, che visto il parchetto
vicino e sapendo che le metro sarebbero ripartite dopo poche ore, aveva a tutti
costi insistito per fermarsi a riposare. Dario dormiva già da tempo sul suo
sedile e nessuno oppose troppa resistenza(due elementi del genere in auto
potevano essere un problema).
Conosceva
molto bene quella situazione:in macchina non avrebbe mai smesso di
vomitare,necessitava di un posto in cui sdraiarsi e il clima mite gli aveva
dato la giusta scusa.
In effetti
ora stava molto meglio, il dolore agli addominali causato dai conati della sera
prima era lieve. Ovviamente poteva uccidere con l’alito!Era un po’ allibito dal
fatto che fosse già l’una del pomeriggio. Ciò voleva dire che se n’era stato su
quella panchina per quasi otto ore. Una fortuna, pensò, il modo migliore per
far passare una sbronza colossale!
Decise
d’investire una parte del suo pil personale in cappuccino e brioche, per dare
tregua allo stomaco brontolante, che ormai si stava riprendendo accorgendosi di
essere completamente vuoto!
Si guardò un
po’ i vestiti e decise che non aveva l’aspetto di un homeless alcolizzato,
piuttosto di una persona che aveva avuto una brutta nottata.
Mentre si
rifocillava, provò a chiamare Paolo, ricordandosi che quella sarebbe stata una
delle ultime chiamate possibili dato che la bolletta dell’abbonamento
telefonico non pagata avrebbe portato ad un repentino taglio della sua linea. Altro
problema da mettere in lista risoluzioni.
Paolo non
rispose, forse stava dormendo, oppure facendo altro. Si rallegrò per l’amico,
pagò e si diresse alla metropolitana. Ancora nuvole. Quel terribile maggio non
voleva tuffarsi nella primavera e la tregua garantita il giorno prima sembrava
già un lontano ricordo. Quei fugaci pensieri, però, vennero bruscamente
interrotti dalla spinta del subconscio. L’alcool stava perdendo la sua morsa e
il ricordo della mattina precedente e della sorpresa ricevuta dalle mani del
padre, tornò violentemente a galla.
Si trovava
in camera sua e mentre arpeggiava con la chitarra la corda del mi, la più
piccola delle sorelle, si ruppe di colpo arricciandosi quasi tutta alla fine
del manico. Gianluca si fermò e la guardò senza espressione. Si era spezzata
più o meno all’altezza in cui la stava suonando con il plettro. L’appoggiò al
lato del letto e si mise a rovistare nei cassetti della scrivania alla ricerca
della corda di ricambio. Perso nella ricerca non si accorse della presenza del
padre sulla soglia della porta che lo guardava tra il perplesso e il
rassegnato. In mano aveva una busta bianca dalla quale sbucava un cartoncino
avorio con dei decori dorati sui bordi. Trovò finalmente la busta di plastica
che conteneva le corde del mi e ne prese una. Dalla chitarra slegò le due
estremità di quella rotta e con movimenti sicuri sistemò la nuova.
“Mi devi
dire qualcosa o vuoi stare ad ammirarmi per tutta la giornata?”
“Ti vorrei
ammirare su di un palco o per lo meno vorrei ammirare una laurea del
conservatorio appesa nella tua cameretta, scusa, camera ora sei un adulto,
giusto?”
“Buongiorno
papà, vedo che il sole improvviso ti ha messo di buon umore!”
“Se, se..è
arrivata questa per te. Mi spiace e come sempre confermi il fatto di essere un
moto perpetuo di delusioni” e così dicendo gli porse il fardello bianco che
reggeva fra le mani.
“Ti voglio
bene anch’io” e lo prese senza troppa considerazione, appoggiandolo sulla
scrivania, continuando ad armeggiare con il suo strumento.
“Un’altra
delle tue occasioni sfuma così e tu nemmeno la degni di uno sguardo, ha fatto
bene a lasciarti”
Gianluca
colse subito il riferimento a Serena. Non poteva essere altro. Subito collegò
il decoro appena visto e un brivido freddo gli corse lungo la schiena. Sapeva
che la sagacia del genitore aveva giusti fondamenti e che fosse un suo diritto
cercare di spronarlo a darsi una svegliata, ma l’argomento Serena era off
limits. Persino Dario evitava di parlarne, il che spiegava la gravità della
questione.
Con mano
tremante e esitando un po’, raccolse il biglietto che ora pesava quintali. Lo
aprì e vide ciò che sapeva avrebbe visto:
“Carlo e
Serena sono felici di invitarvi al loro Matrimonio che si terrà presso la
chiesa di Santa Maria Annunziata a ..”
Smise di leggere
ma restò con lo sguardo su quei terribili ghirigori dorati. Non li sopportava.
Sembravano dirgli guarda quanto cazzo siamo felici, tanto da fare una cosa
pacchiana come questa ed esserne orgogliosi.
“beh che ti
aspettavi?Lo sapevi da tempo che s’erano fidanzati. Anzi sono stati pure
gentili ad invitarti alla cerimonia” rincarò il padre prima di lasciarlo al suo
dolore.
Gianluca
appoggiò la chitarra e guardò fuori dalla sua finestra.
Il sole
pallido illuminava il parchetto di fronte alla loro casa. Orde di bambini lo
avevano invaso in crisi d’astinenza di bel tempo. Nella mano aveva ancora
l’invito e l’unica cosa a cui riusciva a pensare era, che stronza!
Ma era sempre
stato così con Serena. Ed ora doveva metterci una pietra sopra definitivamente.
Ovviamente andare al matrimonio era da escludere. Avrebbe declinato all’ultimo
momento, inventandosi una qualsiasi scusa.
L’edicolante
che gli vendette il biglietto lo guardò con un’aria schifata, ma Gianluca non
vi fece caso, forza dell’abitudine. Mentre si stava allontanando, lasciando che
la persona dietro di lui potesse avvicinarsi all’omone incastrato dietro alle
pile di corrieri e gazzette, lo sentì dire “Che gentaglia si vede in questo
quartiere la domenica, pensi che una volta qui ci abitava solo brava gente!”
Prima che
potesse rispondere, una voce femminile ribattè “E immagino che una volta la
gente fosse più tollerante e simpatica di lei, senza dover per forza schifare
gli altri per non schifare sé stesso!”
L’uomo, che
a Gianluca era sembrato un gigante, si fece piccolo e disse solo “Sono 1 euro e
50”. La ragazza pagò, afferrò la maniglia del suo trolley e s’avvicinò a lui
che stava ammirando la scenetta compiaciuto.
“Grazie, non
avrei saputo fare meglio!”
“Di nulla e
detto tra noi, sembra che ti abbiano centrifugato, lui è stato molto
maleducato, ma tu gliela offri su di un piatto d’argento!”
“In effetti
non sono al meglio, dormire all’aperto non ha giovato.Piacere Gianluca” ed
allungò la mano verso di lei, rincuorandosi di essersela lavata prima di fare
colazione, al bar.
“Federica”
ricambiò subito.
Aveva i
capelli biondi raccolti a chignon dietro la nuca ed indossava un tailleur
grigio perla che le disegnava i fianchi sottili. Due occhi castano scuro lo guardavano
dal basso, difficilmente una ragazza era più alta di lui.
“Viaggio di
lavoro?” disse lui indicando la valigia
“Più o meno
, tu invece, ritorno alla vita?”
Gianluca
scoppiò in una risata sincera accompagnata dal sorriso malizioso di Federica.
“Touchè!Sì
ieri è stata una serata..diciamo difficile.Festa di laurea,penso di non dover
aggiungere altro!”
“No, non è
necessario”
Raggiunsero
la banchina della fermata e guardarono il led luminoso con i tempi d’attesa
delle metropolitane.
“Io vado
verso Gessate, otto minuti d’attesa!”
“Io in
centrale..e sta arrivando ora” sembrò quasi rammaricarsi la ragazza.
“Le nostre
strade si dividono subito, quindi!” disse sornione Gianluca
“Direi di
sì, ma potrebbero incrociarsi di nuovo” ammiccò lei
“Lo spero..e
magari cercherò di farmi trovare meno..centrifugato!”
Federica
sorrise ed allungò nuovamente la mano. La borsa che teneva a tracolla si aprì
leggermente, tanto da permettergli di leggere il titolo della guida che
conteneva.
“A presto
allora, Gianluca.E riprenditi!!”
“Ci
proverò!Buon viaggio di lavoro più o meno!”
Il suono
delle porte a pressione della metro chiuse i loro discorsi e la portò via.
Mentre
aspettava seduto sulla panchina, armeggiando con il tabacco e la cartina, i
pensieri che gli avevano rovinato la giornata precedente per una volta non lo
stavano tormentano. Il profumo che ancora sentiva chissà come presente lo
distoglieva dal resto. Ed un sorriso ebete gli si era dipinto sul volto.
Gianluca
capì che si era appena innamorato di una donna che molto probabilmente non
avrebbe mai più rivisto.
Guardò
ancora il cartello luminoso con la scritta “Gessate”, alle sue spalle, sul binario
opposto, una nuova metro s’era fermata. Senza esitare buttò la sigaretta mezza
rollata e vi salì. Centrale. Sicuramente un treno. Sperò di fare in tempo.
Tra una
fermata e l’altra cercava di pensare cosa dirle, ma non trovava alcuna
particolare frase da effetto cinema. Non gli importava. Seguire l’istinto era
sempre stato il suo piano migliore. E spesso distruttivo.
Arrivato in
centrale corse verso le scale che portavano alla stazione dei treni. Buttò un
rapido sguardo verso le casse automatiche e successivamente si fiondò verso gli
sportelli della vendita biglietti, ma non la vide.
Aggredì i
gradini che portavano ai binari. Davanti al tabellone delle partenze cercò
Vienna, sperando che la fortuna di aver visto quella guida nella sua borsa
potesse essere un segno.
Binario 17.
Andiamo bene, pensò.
Si sistemò
quanto poté, ma le corse avevano dato il colpo di grazia al suo abbigliamento
da scappato di casa.
Finalmente
la vide. Stava cercando il suo vagone e con calma percorreva la banchina,
trascinando il suo bagaglio a rotelle. Le si avvicinò cercando di non correre.
Ma sembrava un maratoneta che non può alzare i piedi da terra. Quando si
trovava a una decina di metri da lei, senti che qualcuno la chiamava da un
finestrino.
“Federica!Siamo
qui!”
Lei guardò in
direzione della voce e fece un cenno con la testa.
Alla porta d’ingresso
del vagone due braccia maschili si allungarono per prendere il suo bagaglio e
aiutarla a salire. Continuando a camminare, Gianluca la cercò attraverso i
finestrini. Poi decise di tornare verso quello da cui lei era stata chiamata.
Dentro allo scomparto un uomo in giacca elegante, che dava le spalle al
finestrino, stava animatamente chiacchierando con lei, probabilmente accennando
al ritardo dei treni o a chissà quale problema.
Anche
Federica, girando lo sguardo, lo vide. Sgranò gli occhi e sorrise, facendogli
un cenno che lui intuì si riferisse alla porta da cui era entrata.
“Che ci fai
qui?”
“Ho pensato
di non aspettare che si incrociassero di nuovo le nostre strade”
“E che hai
fatto mi hai seguito?”
“No, ho
tirato ad indovinare, e la looney planet che usciva dalla tua borsa mi ha
aiutato”
Il segnale
dell’autoparlante chiamò la partenza del treno per Vienna dal binario 17.
“Ancora
interrotti dai mezzi di trasporto” disse Federica
“Ci devono
odiare. Come posso rivederti?”
“Torno tra
una settimana, vediamoci qui. Dovrei arrivare per le 11 del mattino”
“Ci sarò”
“Vedremo”
E si
chiusero le porte del treno.
Lei lo
guardò e con il dito indice vicino alle tempie lo schernì con un “tu sei pazzo”
Gianluca la
guardò e rispose con le labbra “lo so”
Quando il
treno era ormai lontano, pensò bene che potesse andarsene dalla stazione.
Un
settimana. Alle undici. Sperò di non scordarselo!
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