lunedì, maggio 20, 2013

Risveglio (parte 1)


Paolo si svegliò dopo diversi squilli. Ciò che subito lo colpì era la secchezza indecente della sua gola. Ogni respiro grattava nella trachea e lo costringeva ad aumentare la salivazione per placare il bruciore. Con gli occhi ancora chiusi cercò la bottiglia d’acqua ai bordi del letto. La trovò subito, ma era vuota. Chissà da quanto, pensò tristemente. Decise quindi di alzarsi e di andare a prendere telefono ed acqua in modo da sedare sia il dolore in gola sia le tempie pulsanti, che, immediatamente, lo avevano aggredito ai primi movimenti dopo il risveglio. Ora che era in piedi in mutande fuori dalle coperte, si accorse che non era di certo una giornata di sole. Pur essendo maggio, da settimane pioveva ininterrottamente e la calda primavera ancora non si vedeva, fatta eccezione per il giorno precedente, che dal pomeriggio sembrava essersi riappropriato della sua consueta temperatura. Raccolse una maglietta a casaccio dal mare di vestiti sparsi per casa. Sembrava che un trolley pieno di ricambi fosse esploso nel centro della stanza, lasciando pezzi di se stesso e di ciò che conteneva ovunque. Raggiunse il telefono e rispose. Era Dario. Ovviamente.
“Pronto” e subito sentì la pestilenza del suo alito.
“Eccolo!Finalmente Principe Carlo!” la voce di Dario, squillante e sarcastica, lo trafisse mentre era ancora immerso nel suo lento e doloroso risveglio “Ce ne hai messo di tempo!Stavi dormendo?”
“No, dipingevo il soffitto della camera” rispose senza troppa allegria “Certo che stavo dormendo e avrei preferito continuare a farlo…”
“Ma che cazzo..sono le due e vuoi continuare a dormire?!”
Le due?!..pensò e guardò l’orologio a forma di bottiglia dell’Heineken. Segnava le due e dieci. Acqua, si disse, prima mi ripiglio meglio è!E cercò con lo sguardo qualche bottiglia d’acqua sul pianale della cucina. Un’intera città fatta da grattacieli di cartoni della pizza o da scatolette di tonno lo guardava accusatorio. Ottima alimentazione, otto ore di sonno, attività fisica e sveglia alle prime luci dell’alba!Una vita devota alla salute!..pensò dirigendosi verso il frigorifero in cerca di qualsiasi liquido non alcolico che poteva ospitare.
“Beh, diciamo che non è stato un buon risveglio” confessò all’amico “Tu che stai facendo?..hai pranzato?” aprì l’anta del frigo e lo investì quell’ottimo profumo di cibo in decomposizione. Sicuramente qualche scadenza ignorata stava restituendo il conto di tale dimenticanza. Prese velocemente la brocca dell’acqua mezza vuota e tracannò senza fiato il rimanente, sbattendo con la mano libera lo sportello di quel contenitore di odori di natura morta.
“Lo immagino il tuo risveglio!!Forse ieri sera abbiamo bevuto un po’ troppo!Beh, però diciamo che tu ti sei divertito, o almeno lo spero…” Dario lasciò in sospeso quella frase, anche se Paolo non lo poteva vedere, sapeva che stava sogghignando, “comunque ho già pranzato, tranquillo..ti do una mezz’ora e poi passo a trovarti, vedi di non addormentarti di nuovo!”
“Ok, ma cosa intend..” ma non finì la frase in tempo prima che l’amico riattaccò. Voleva chiedergli a cosa si riferisse con quel “ti sei divertito”. Pensò che lo avrebbe fatto di lì a poco, quando sarebbe arrivato a casa sua a vegetare come ogni giorno. Ora doveva riprendersi. Decise d’infilarsi in doccia e starci finché Dario non avesse suonato al suo campanello. Andò in bagno ed anche lì trovò una situazione non certo felice di ordine o pulizia. Il lavandino era cosparso di capelli, i pochi cadaveri derivanti dalle recenti docce, residui dell’ultima volta che si era rasato (e guardandosi allo specchio capì che era passata più di una settimana) e c’erano anche i resti del dentifricio in piccole gocce depositatesi un po’ ovunque sulla superficie del lavabo. Il water non era ai livelli di quelli che si possono trovare in un autogrill, ma poco ci mancava. Fortunatamente non c’erano segni di eventuali sconfitte contro il suo stomaco dopo la serata alcolica. Non si ricordava ancora se avesse vomitato, ma almeno non sembrava fosse successo nel suo bagno. Anche la questione ricordi sera prima era da definirsi dopo la doccia! Accese l’acqua calda e si rallegrò nel vedere che la caldaia non l’aveva ancora abbandonato. Erano un paio di mesi ormai che non riusciva a farsi più di due docce calde consecutive. Aveva rimandato di giorno con giorno d’avvisare il padrone di casa sul problema, ma d’altra parte nel giro di un paio di settimane l’afa avrebbe invaso la giornata e l’acqua calda non sarebbe più stata un problema. Dopo aver armeggiato con le due manopole per evitare d’ustionarsi o, al contrario, di raffreddare troppo il getto, si godette il flusso d’acqua che lo avrebbe rigenerato sicuramente. Mentre lentamente riprendeva possesso delle sue facoltà mentali, cercò di ricostruire la serata precedente. Prese lo shampoo e cominciò a massaggiarsi la testa.
Lui, Dario e Gianluca si erano visti per una pizza a casa di Paolo, guardando la partita per poi decidere dove andare. Ovviamente essendo tutti e tre squattrinati e nullatenenti, le scelte erano poche e dovevano soddisfare le due minime esigenze: alcool a poco prezzo e presenza femminile. Dopo diverse discussioni e dopo essersi spronati a vicenda per non starsene ancora in casa tutta la sera davanti ad una console, bevendo moretti fino alla nausea (cosa che recentemente gli arrivava molto presto) e devastandosi con una sequenza terribile di canne, decisero di andare in un locale appena fuori Milano, vicino all’Idroscalo, dove un loro conoscente festeggiava la laurea. Nessuno di loro era troppo entusiasta di andare a quella festa. “No dai!Non possiamo!Sai benissimo come si pavoneggerà Fulmine e come sono simpatici i suoi amici fighetti di Milano!” si lamentò Gianluca. Fulmine, in arte Giampiero De Poli, aka “hai sentito l’ultima”, era un maestro della cazzata. Un vero e proprio artista della stronzata. Riusciva a creare storie assurde per mascherare delle semplici sfortune comuni a tutti gli uomini di buona volontà o per vantarsi di un qualsiasi evento che lo ritraesse come un genio risolutore di tutti i problemi della compagnia. Un bastardino giocoso che lo inseguiva durante una delle rare uscite di jogging, diventava un rottweiler rabbioso o un lupo della steppa; un ritardo per semplice traffico o per una sveglia sentita in ritardo si trasformava nella sequenza di sfortune e coincidenze talmente incredibili che nemmeno Gene Wilder concepiva nei suoi film. Viveva anche lui nel minuscolo paesino disperso nella Brianza in cui ora Paolo si stava svegliando, ma la sua giornata era di solito divisa fra l’Università Bocconi e un piccolo bar universitario nei pressi della Pinacoteca di Brera. Ciò lo rendeva ancora più devoto alla vita mondana della città e sempre meno alle realtà del paesino. Vedeva i suoi amici “di campagna” a periodi, cioè quando non aveva voglia d’incontrare conoscenti dell’università che si laureavano prima di lui o che passavano esami che Fulmine ripeteva in continuazione senza mai ottenere un misero diciotto. In quei periodi diventava l’amicone di tutti. Presente a tutte le partitelle di calcetto, ovviamente non come giocatore per improbabili danni fisici legati ad imprese sportive descritte nel guinness dei primati, o ai pomeriggi sfatti al parchetto, in cui si dileggiava nell’antica arte dell’orazione della minchiata. Poi, passato il momento di “pericolo”, spariva per un po’, dedicandosi agli happy hour e alla sala lettura dell’università. Già perché per lui l’aula studio era inutile, pensò malignamente Paolo mentre cercava di togliersi lo shampoo finitogli nell’occhio. D’altra parte, il buon caro Fulmine, era pieno di soldi e una festa per una laurea che aspettava da almeno dieci anni, poteva voler dire alcool gratis. E ciò avrebbe soddisfatto la questione numero uno. Per le ragazze, il Magnolia era un locale perfetto, c’era l’imbarazzo della scelta e per l’entrata c’era ancora valida la tessera ARCI dello scorso inverno. “Tutto apposto!” sentenziò Dario “Adesso ci godiamo la partita, poi ci facciamo belli e ci scoliamo una bottiglia di grappa, canna durante il viaggio ed arriviamo perfettamente stonati alla sua festa!Da lì..qualsiasi cosa mi dica va bene, basta che mi offra qualche coca e Havana e lo ascolto anche per tutta la notte!” e con un sorriso simile allo stragatto di Alice, alzò la bottiglia di moretti per un brindisi. Gli altri due, suoi umili commilitoni, lo imitarono.
Sentì nuovamente suonare il telefono, ma era lontano diversi anni. Ora sì stava rilassando in doccia e niente lo avrebbe distolto da lì. D’altra parte la sua giornata dipendeva molto dall’esito di quel rigenerante passaggio. Prese il bagnoschiuma, imprecando sentendolo molto leggero. Come aveva previsto era in sostanza vuoto, ma fortunatamente c’erano diversi contenitori simili sparsi nelle mensole della doccia, tutti “quasi” completati. Collage di saponi!Ed iniziò a racimolarne da ogni contenitore. Un insieme di profumi diversi invase il bagno regalandogli nuovo piacere e un lieve benessere. E aiutandolo a ricordare altri particolari.
Come sempre al Magnolia, la coda per entrare era seconda solo a quella per parcheggiare. 5 euro un parcheggio incustodito e, comunque, ormai talmente pieno che avevano parcheggiato a quasi un kilometro dall’entrata del locale. “Che merda sto posto e il suo cazzo di parcheggio!” brontolò Gianluca “A questo punto meglio lasciarla in strada prima della rotonda…” Dario, con una bottiglia quasi finita di grappa in mano, stava guardando Gianluca con un’espressione che indicava incredulità, solo che lo sguardo, già modificato dall’alcool e dalla canna di Maria (strapiena) che si erano fumati arrivando lì, era comico e disse “Certo mio caro ministro di sto cazzo!Lasciando lì la nostra punto ultradeluxe con gli amici in divisa avremmo fatto l’affare dell’anno!Salvo che il tuo potere politico non arrivi a tanto!” e guardò Paolo in cerca di una spalla con cui sfottere l’amico. Quell’anno Gianluca Poletti, si era candidato come consigliere comunale in una lista civica (o meglio, civicamente di sinistra). La cosa lo aveva stimolato molto per tutto il periodo pre-elettorale, la cosiddetta campagna, stressandoli con comizi privati a casa di Paolo, infarciti da sproloqui dettati dalle ore piccole e dalle bottiglie vuote che si accumulavano sul tavolo. Alla fine la sua lista vinse ma lui non ebbe abbastanza voti per essere tra i consiglieri eletti. Forse fu meglio così, giacché Gianluca era famoso fra gli amici per intraprendere ogni nuova esperienza con l’entusiasmo di un ragazzino davanti alla fabbrica di Willie Wonka, per poi compiere una brusca frenata e disinteressarsene. Infatti, i suoi settimanali incontri in comune finirono molto presto, sostituiti da qualche ragazza o da una nuova mania. Ovviamente tutto ciò non gli evitò mesi di nomignoli da parte di Dario o continue battute sul suo improbabile peso politico.
“Chi altro c’è tra gli invitati che conosciamo?” sviò Gianluca.
“Non ne ho la più pallida idea…a me l’ha detto Anna..erano inviti tramite facebook o qualche altro social network che non si fa gli affari suoi..comunque lei non sarebbe venuta..perciò non so proprio chi ci sia” rispose Paolo.
“Ragazzi, mal che vada ci allontaniamo dalla gentaglia e ci buttiamo a ballare sotto un altro palco..è grande il posto!” rassicurò tutti Dario “Ma non senza qualche litro di birra o altro in corpo..gentilmente offerto dalla ditta Fulmine e Affini!” e così dicendo bevve un sorso di grappa e porse la bottiglia agli amici.
Come previsto l’entrata era affollatissima, ma scorreva velocemente. Dopo una decina di metri la fila umana era divisa in due da una transenna, a destra chi era sprovvisto di tessera annuale si fermava per l’iscrizione e il pagamento, mentre sulla sinistra chi non ne aveva bisogno, passava mostrando al servizio d’ordine la tessera valida. Passati i cancelli d’entrata un parco attraversato da una strada sterrata, accoglieva i clienti.

La prima volta che si entra al Magnolia, sembra di aver sbagliato posto, poiché non si vede nessun locale ma solo degli alberi enormi che nascondono quello che poi si trova nello spazio posteriore al parco d’entrata. Percorrendo la via ghiaiosa ci s’imbatteva spesso in un camper giallo con dei fiori dipinti, ereditati dall’arte tossica degli anni 70, addetto all’assistenza per quelle persone che incappavano in una serata volutamente troppo esagerata, abusando di alcool o di qualche chimicata tagliata male. I due ragazzi che lo occupano, volontari, fanno parte del locale tanto quanto gli alberi stessi. Sulla sinistra si trova la zona relax adibita a delle amache sorrette da strutture di metallo. Luogo molto conosciuto da Paolo e i suoi due amici, solito ad ospitare le loro carcasse d’uomo quando le serate prendevano una brutta piega, o meglio quando il mondo che vedevano iniziava a piegarsi, contorcersi. Avvicinandosi allo stabile dietro agli alberi si trovano un paio di bar esterni, uno adibito ai cocktail l’altro alla birra. Ci si ritrova, poi, proprio davanti, il locale vero e proprio, con un altro bar completo di tutto, i bagni e un’ampia stanza che d’inverno è adibita a sala concerti, mentre ora, nel periodo più caldo,ai bordi dell’estate, fa da anticamera ideale per accedere al resto del complesso, composto dal palco più grande, una serie di tendoni utilizzati come pizzeria/trattoria e qualche bancarella che vende prodotti legati al gruppo serale o al Magnolia stesso, oppure spazi offerti ad associazioni umanitarie o ambientali.
Dopo una veloce tappa al bagno, per creare nuovo spazio ad altro alcool, i tre amici si dedicarono alla ricerca di qualche viso conosciuto e che li potesse guidare verso il grosso del gruppo festante. Mentre attraversavano il salone vicino ai bagni, qualcuno strattonò la manica di Dario, che si girò di scatto come se fosse stato colpito al fianco da una freccia nella giungla.
“Daaaaariooooo!Alla fine sei venuto anche tu!!” strillò una specie di koala colorato aggrappato al braccio destro di Dario.
“Ciao Chiara..sì diciamo che siamo quasi qui per caso…” e l’espressione del suo viso era un mix tra il rassegnato e l’odio. Lo strano essere, non era per nulla un koala, era Chiara, la spina nel fianco, il tallone di Achille o, come lo definiva lui stesso, il gatto attaccato ai maroni di Dario. Lei, all’anagrafe Chiara Bergonzoni, era la figlia del Geometra Piergiovanni Bergonzoni, detentore di quasi tutti gli appalti edilizi nel raggio di diversi kilometri dal loro piccolo paese. Negli anni 80 si era fatto un certo nome come progettista di nuovi appartamenti fino ad investire direttamente nella costruzione, aprendo un’impresa edilizia propria. Dove avesse trovato tanto denaro in poco tempo, era uno dei misteri di cui un paesello come il loro si portava da anni nelle chiacchiere da bar o in quei giorni in cui il bel tempo gli permetteva di sfrecciare nelle viuzze del quartiere con la sua SLK cabrio, alimentando gli sguardi invidiosi e pettegoli dei suoi concittadini. In verità nessuno sapeva, nemmeno Paolo e i suoi amici, che il buon Piergiovanni aveva ricevuto un’ingente eredità da uno zio cui era molto affezionato in giovane età, che gli permise, negli anni d’oro del boom italiano, di chiedere finanziamenti per l’apertura della ChiaMarc Edili. In seguito la richiesta di nuovi palazzi per tutti coloro che da Milano scappavano verso la campagna, gli permise di cavalcare l’onda economica con grande intuito. Tuttavia godeva nel vedere tutti quegli occhi e quelle chiacchiere puntate su di lui, mentre si lasciava accarezzare dal vento fresco nelle giornate di sole, guidando la sua auto tedesca. Chiara, d’altra parte, dal padre non aveva ereditato troppo cervello e l’agiatezza economica l’aveva resa una persona finta e superficiale, attenta solo ai nomi cuciti sui propri vestiti, alle starlette hollywoodiane e a come essere sempre alla moda anche durante le serate in cui si trovavano in riva ad un fiume con un falò e una chitarra. Ma come spesso accade, la vita e il destino amano sconvolgere le esistenze a noi mortali, la principessina si era presa una cotta infinita per il rinnegato Dario. Solo che a differenza dei film patinati di rosa che la nostra Chiara adorava, il soggetto in questione non era per nulla propenso a nessun miracoloso cambio di vita o di modo d’essere, tipo il finale di Grease. Solo una sera ha ceduto alle avance, ubriaco, durante una festa di compleanno a casa di comuni amici, scopandosela in camera dei genitori del padrone di casa e per poi dimenticarselo quasi completamente il giorno dopo, quando lei, di tutto punto, si era presentata davanti alla sua porta con una borsa contenente spazzolino e ricambio. Il fatto che lui stesse smaltendo un dopo sbronza con i fiocchi, non lo giustifica completamente dagli insulti che la povera ragazza ricevette prima di sbatterle la porta in faccia. Ma lei non si demoralizzò comunque. Da allora, quando s’incontrano, il siparietto si ripete ed è veramente strano perché Chiara non è solo una ragazza alla moda, è una bella ragazza, una di quelle che Paolo, Dario e Gianluca definirebbero “una figa di legno”. La sua sfortuna è stata di vedere un principe azzurro nascosto dietro le fattezze di uno scaricatore di porto turco ubriaco e stanco dopo l’ennesima traversata da un mare all’altro.
“Beh teeeesoro mio..come sei arrivato qui non m’importa!” cinguettò Chiara
“Mollami Chiara!Lasciami stare questa sera..voglio solo bere e non averti tra le palle!” le rispose, suo malgrado, Dario.
“Chiara dove sono Fulmine e gli altri?” intervenne Paolo per avere l’unica informazione che voleva.
“Seguitemi” e prese Dario per un polso facendosi inghiottire dalla massa di gente che si stava spostando verso il palco più grande. Era orario di concerto e gli Africa Unite attiravano sempre un bel po’ di persone. Si fecero strada fino ai tavoli occupati dagli invitati del festeggiato cercando di rimanere in disparte e, nel contempo, avvicinarsi ai vassoi pieni di bicchieri di birra. Ma Fulmine li vide.
“Ma guarda un po’ chi si è spinto dalla provincia!” urlò come se loro si trovassero ancora al parcheggio anziché lì a pochi metri “Non pensavo di vedervi questa sera…v’immaginavo sdraiati sul tuo divano, Paolo, a farvi di xbox!” e sfoderò uno dei suoi sorrisi da venditore migliori che aveva.
Dario vide la sua mano afferrare una delle sedie di legno e spaccarla sul lato sinistro della faccia di Fulmine. Vide la mandibola spostarsi innaturalmente dalla parte opposta, scaricando come una marmitta ingolfata bava e denti, sangue e pelle. Lo vide cadere a terra e si sentì urlagli contro “Cazzone Bastardo che fino a due giorni fa eri anche tu in PROVINCIA su quel CAZZO DI DIVANO!” . Dario vide tutto ciò, ma solo nella sua mente, per fortuna, e si chiuse la bocca con una birra gelata.
“Beh Fulmine, sai come siamo fatti!Piuttosto!Congratulazioni per la laurea…finalmente!” cercò di sviarlo Paolo
“Certo che so come siete fatti..anzi strafatti!!” e condì il tutto con una risata finta ed impostata “Grazie comunque, sono contento che siate venuti…ora se volete scusarmi, ho delle ragazze da importunare” e strizzò loro l’occhio girandosi verso un gruppo di suoi amici, sponsorizzati Prada e D&G, ma prima di lasciarli aggiunse “Guardate bene sul tavolo ci sono dei bottoni, offro io questa sera!Sono un paio a testa!”
Dario, con gli occhi accesi da una nuova linfa, disse “E noi berremo alla tua, fratello!”
Così dicendo ritornò al tavolo con le birre e vide una ciotola con un sacco di piccole fishes di plastica di colori diversi, con sovraimpresso il logo del Magnolia. Erano i “gettoni” da consegnare al bancone per le consumazioni. Prima ancora che qualcuno potesse accorgersene ne prese tanti da dimezzare il contenuto della ciotola e suggerì agli amici “Su ragazzi, prendete le vostre consumazioni!” e il sorriso da joker tradì la realtà della battuta.
Paolo e Gianluca si guardarono complici ed imitarono l’amico.

Ora il senso di post sbornia aveva un significato, un’origine. Con quel carico di free drink si erano sicuramente devastati per le ore successive ed il fatto che lui non ricordasse molto non era così strano. Solitamente l’alcool aveva questo effetto quando se ne abusava. E Paolo lo conosceva bene. Spense l’acqua e prese l’accappatoio. Finalmente si sentiva meglio, più sveglio e pronto a
“Ehiii, hai finito?Posso usare io la doccia?..potevamo anche lavarci insieme!”
Si bloccò…spalancò gli occhi per lo stupore, si concentrò su ogni suono per capire se era diventato pazzo..se sentiva voci femminili nella sua testa…o se fosse la televisione…anche se la coincidenza legata alla doccia lo fece subito desistere da questo pensiero.
“Sei svenuto?!Sto parlando con te Paolo!Ovviamente scherzavo!” e rise.
Veniva dalla camera. Non dalla sua testa. Era già qualcosa.
Come il primo esploratore della tomba di Tutankhamon, Paolo si avviò in accappatoio, ancora gocciolante, verso la stanza da letto, quasi vivendo un momento distaccato tra mente e corpo.
Si poteva vedere mentre, incerto, passo dopo passo, usciva dal bagno per affacciarsi alla porta dell’altra camera, quella con il fantasma. Altro non poteva essere.
La prima cosa che pensò è che non si trattava di un fantasma. Ed anche se lo fosse stato, beh, diamine, era proprio un gran bel fantasma.
“Buongiorno” riuscì a dire senza balbettare.
L’ectoplasma era nel suo letto (avrebbe poi dovuto ricostruire i suoi passi al risveglio per capire come fosse stato possibile non vederla), arrotolata fino al collo nel lenzuolo, con le spalle deliziosamente scoperte e candidamente nude. Gli occhi, benché tradissero una serata da ore piccole, erano di un verde intenso (troppo intenso per un essere incorporeo) e lo guardavano senza malizia. Una folta chioma nera si distribuiva in boccoli liberi sul cuscino. Gli sorrideva, mostrando una dentatura bianca e perfetta. Facendo ciò, inclinò leggermente la testa e subito un flash d’immagini invase la mente di Paolo. Lei che gli sorride nello stesso modo con un bicchiere di birra in mano ringraziandolo e presentandosi. Loro che ballano insieme e sempre più vicini. Immagini confuse di baci scambiati sdraiati nel prato del parco del Magnolia. Poi nulla d’altro. Ci doveva lavorare.
“Buongiorno a te!Come dicevo..posso farmi una doccia anch’io?”
“Ce-Certo, ti prendo un paio di asciugamani..e te li lascio in bagno” cercò di non tradirsi, ma pensava che la sua espressione mentre la guardava fosse impossibile da mascherare.
“Mmmh…graaaziee..adesso mi alzo..” quasi sussurrò lei, stiracchiandosi ancora assonnata, nel letto.
Paolo si diresse verso l’armadio che conteneva gli asciugamani di riserva. Era un automa. Si muoveva involontariamente mentre cercava almeno di ricordare il nome della sua ospite.
Il fantasma che non era un fantasma lo abbracciò da dietro mentre era immerso nei suoi pensieri. Si dovette concentrare al massimo per evitare di urlare.
“Avresti anche una maglietta da prestarmi?..quella che indossavo ieri sera non penso sia utilizzabile..anche perché non so dov’è!” sentiva le sue labbra vicino all’orecchio e i suoi seni, avvolti nel lenzuolo, gli si appoggiavano sulla schiena. I capelli, lunghi, le ricadevano sulle spalle e, data la vicinanza, lo sfioravano sul collo.
“Apri pure l’armadio e scegline una e se ti serve altro non farti problemi” troppo formale pensò, cercando di sciogliersi un po’.
Lei gli schioccò un bacio sulla guancia e si diresse in bagno con gli asciugamani che lui teneva in mano.
Caffè!Si ordinò.
Scese al piano di sotto e cercò la moka. Mentre puliva i residui di caffè vecchio all’interno per sostituirlo con quello nuovo, si concentrò per dare seguito ai ricordi della serata precedente.  Era sicuro, ora, di averla conosciuta mentre prendeva l’ennesima birra al bancone. Aprì il barattolo di metallo della Illy e sorrise vedendo che era pieno per metà. Solitamente in questi momenti la fortuna non lo aiutava. Quello era un segno, si disse, ora riuscirai a mettere tutto a fuoco e
Suonò il campanello ed ora, perso nei suoi pensieri di rinascita mentale, Paolo non riuscì a trattenere l’urlo che prima aveva evitato. In verità si trattò di un suono simile a quello che fa un bambino quando si spaventa per un BU di un adulto. Ma la somma delle emozioni degli ultimi minuti era oltre il limite che potesse sopportare dopo un risveglio.. difficile. Riprese fiato pensando che fortunatamente Cristina stava facendo la doccia e
..si colpì la fronte con la mano sinistra..rovesciando un po’ di caffè rimasto nel cucchiaino che aveva tra le dita..
Cristina! Ma certo ecco come si chiamava! Dentro di sé esultò come uno scolaretto quando risponde alla domanda della maestra che nessuno, in classe, conosceva. Si diresse verso il citofono con un sorriso di vittoria e compiacimento, che crollò come uno di quei palazzi che sono demoliti e mandati in diretta tv, quando vide nella telecamera in bianco e nero il faccione, deformato dalla lente, di Dario. Prese la cornetta tra le mani.
“Sali”
“Buongiorno anche a te!”
Ruotò la serratura per aprirla e tornò in cucina dove la sua caffettiera attendeva che lui finisse di caricarla. La richiuse e la poggiò sul fornello, avviando il gas. Prese poi un sacco di plastica per la raccolta differenziata e cominciò ad accumulare i cartoni di pizza che c’erano sul ripiano davanti a lui. Entrò in quel momento Dario.
“Ciao Paolo”
“Hola”
“Ripreso dal coma?Ma quanto cazzo abbiamo bevuto?!Mi uscivano free drink da tutte le tasche, devo averne ancora  a casa nei pantaloni…chissà se Fulmine si è accorto di quanti ne abbiamo presi da quella ciotola!Ahahah!E tu?!?ma dove sei finito?Sei sparito e fortunatamente abbiamo trovato un passaggio..”
Paolo lo interruppe portandosi l’indice sulle labbra in segno di silenzio e sgranando gli occhi indicando il piano superiore di casa sua.
Dario, dapprima lo guardò con la faccia da punto interrogativo, poi realizzando cosa l’amico stesse insinuando, la trasformò con un sorriso compiaciuto e sornione.
“Ma beeeeeneeee!” crogiolò “quindi non siamo stati soli tutta la seraaa!”
“Smettila, lascia stare…faccio anche fatica a ricordare…”
“Ti capisco, ma spero che almeno il nome tu lo sappia!”
“Per chi mi hai preso animale!Certo che so come si chiama!Cristina!” cercando di non lasciar trapelare nessun indizio del contrario.
“Per chi ti ho preso?!Per un alcolizzato”
“Dario, detto da te, alcolizzato diventa quasi un complimento!Comunque, non scherzo quando dico che ho ricordi confusi. Ora sta facendo una doccia, evita commenti idioti o esageratamente scurrili per un po’!”
“Zi Buana biango…bovero Dario fa sempre cosa badrone dice!”
“See, fai pure lo spiritoso!Vuoi del caffè?”
“Volentieri!”
“Figuriamoci, piuttosto, Gianluca dov’è?”
“Non saprei.Le ragazze a cui abbiamo scroccato il passaggio erano prese bene..io ero ubriaco e lui pure..alla fine ha voluto scendere con una di loro a Cimiano, dicendo che avrebbe preso la metro”
“La metro in piena notte?!”
“Beh ti ho detto che ero ubriaco”
“Già, me lo hai detto”

1 commento:

Unknown ha detto...

...il continuo plis....