mercoledì, gennaio 11, 2006

Dai diamanti non nasce niente dal letame nascono i fior

Sette anni fa, nella notte fredda di un gennaio milanese, si spegneva silenziosamente una fra le voci più significative, malinconiche e poetiche della musica italiana. Andandosene, Fabrizio De Andrè, ha lasciato un incolmabile vuoto, non solo artistico, nei pensieri di quelle persone che lo ascoltavano vivendolo. Perdersi nelle sue canzoni, nei suoi infiniti scritti di vita, era come passegiare all'infinito in un sobborgo di città, toccare la crudeltà quotidiana di chi deve sopravvivere, di chi vive giorno per giorno. Era una poetica concreta quella che esprimeva, l'esaltazione della tragedia come reale fisicità della vita. Con lui le persone semplici, i poveri, i reietti, le prostitute, i drogati e i bombaroli trovavano una voce sopra l'indifferenza della gente, trovavano una guida, un amico, un fratello. A me, personalmente, manca. Mi sarebbe piaciuto conoscerlo, berci del vino insieme, magari proprio lì in via del campo, dove risiede la sua chitarra, acquistata da quei commercianti che, silenziosamente, senza troppa caciara, hanno voluto omaggiare quell'uomo che, con coraggio, aveva decantato la bellezza degli emarginati. Ciao Fabrizio, eroe senza mantello.

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